Difficile non rimanere incantati da uno così. Da uno che quando ti parla si mette sempre al tuo fianco. Francesco è l’uomo che non cammina mai da solo. Non è solo il Papa dal problema “psichiatrico”, bisognoso di contatti, avido di relazioni, fisiologicamente tentato dalla compagnia. E’ il pontefice-pastore che deve sentire costantemente addosso l’odore delle pecore, e quando queste provano ad esplorare altri pendii, le richiama con un fischio e, se occorre, anche con la verga.



A chi estasiato continua ad esaltare il fascino latino, la simpatia schietta, quella franchezza amorosa che sorprende, bisogna ricordare di fare bene attenzione alle parole che Bergoglio pronuncia. C’è sempre il rischio di consumare il santino a forza di sfregarlo, senza mai leggere dietro la necessaria preghiera. Mi spiego: molte volte ho mostrato insofferenza per i gridolini di stupore suscitati da questo o quel gesto ad effetto, dalla naturalità dell’approccio, dall’indubbia carica empatica. La tentazione di cedere alla “papalatria” è sempre in agguato e pone sempre una distanza tra l’oggetto dell’ammirazione e il soggetto che lo guarda. Mi sembra, invece, che una delle caratteristiche più evidenti del magistero di Francesco è proprio la sua “popolarità” intesa in senso alto. Una capacità personalissima di porsi “tra” il popolo, “con” il popolo e non solo “davanti” al popolo.



Accanto al magnifico, quotidiano dialogo intessuto tra le pareti della cappella di Santa Marta, Bergoglio ha iniziato una specie di training allargato, che si svolge ogni mercoledì in piazza San Pietro. Da 3 mesi ormai il Papa, ogni settimana, prova a trascinare questa Chiesa un po’ intiepidita (ricordate Ratzinger e i suoi giudizi lucidissimi sullo stato della fede oggi?) nella marcia a passo spedito con cui interpreta il cammino di fede. Un ritmo vigoroso, il suo. Quanti hanno partecipato ad una seduta di allenamento guidato, in una di quelle palestre affollate e cool che costellano le metropoli, sa di che parlo. Quando il trainer urla nel microfono per incitare i forzati del fitness spompati da un’ora di GAG, Body Flying o diabolica Zumba a non mollare, sebbene zuppi di sudore, convinti di avere il piombo nelle supertecnologiche running costate un occhio della testa e decisi a non farsi vedere mai più in un luogo di tortura simile.



Ebbene Francesco fa qualcosa di simile. Inizia piano, quasi rassicurante, con quel suo tono da parroco di campagna (è un complimento per chi volesse equivocare), dispiegando il suo repertorio da perfetto pedagogo con domande e risposte, intessendo la sua riflessione di retorica gesuitica. Poi alza la posta, interrompe l’andante con moderazione e s’impenna nel punto essenziale, quello che non può e non deve sfuggire. 

Che nella catechesi di ieri era “dobbiamo capire la legge dell’amore”. Il tema scelto per la riflessione pescava dal Concilio Vaticano II una delle questiones più complesse: il “popolo di Dio”, categoria ecclesiale nuova e insieme antichissima, fortunato paradigma per 50 anni di discussioni teoriche sul senso e il mistero della Chiesa.

In cinque punti di botta e risposta, Francesco ha risolto mezza teologia post-conciliare dicendo nell’ordine 1. Che tutti possono far parte del popolo di Dio; 2. Che per entrare occorre il Battesimo e, va da sé, la fede in Cristo; 3. Che la sua legge è amare (Dio e il prossimo); 4. Che la missione è di portare al mondo speranza e salvezza; 5. Che il fine è il compimento del Regno di Dio. Ma la cosa bella è come ha aizzato la folla nei momenti topici, come ha puntato al massimo consumo di calorie (sempre seguendo la metafora): far capire quanto è importante quella legge dell’amore dalla cui applicazione si riconoscono i cristiani.

E sì che basta aprire un giornale – ha ammesso – “per sentire di guerre tra credenti, di invidie, gelosie, nei quartieri, nei posti di lavoro, nelle stesse famiglie”. Allora noi dobbiamo chiedere – ha continuato – di capire bene quanto è bello amarci gli uni con gli altri come fratelli veri. A questo punto chiunque altro avrebbe chiuso. Lui no. Ha iniziato a spingere: “Facciamo una cosa oggi. Forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie; forse tanti di noi sono un po’ arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore io sono arrabbiato con questo o con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell’amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!”. In pratica è come quando dopo 55 minuti di spinning, quando stai per esalare l’ultimo respiro e guardi disperato l’orologio in attesa dell’istante di liberazione, il personal trainer ti chiede di aumentare il livello, per l’affondo finale. Ma la cosa bella di Francesco è che si mette dalla tua parte, dice “Lo facciamo?”. 

Così come quasi in chiusura della meditazione ha detto “Dio è più forte” dove l’altro termine era il Diavolo sempre all’opera. E ha aggiunto “Voi credete questo: che Dio è più forte? Lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte!”. “Lo diciamo insieme tutti” vale “io sto con voi, sto dalla vostra parte”. Più che un predicatore evangelico, paragone che ho sentito serpeggiare, mi ha ricordato il mio parroco alla messa dei bambini, quando ci voleva conquistare ad un’impresa grandiosa, come diventare amici di Gesù. O meglio mio padre, che quando mi chiedeva qualcosa oltre il mio limite, tipo nuotare oltre lo scoglio più lontano o pedalare su una salita, mi si metteva affianco. Un allenatore speciale. Di quelli che ti rendono più bella e più magra. Ma soprattutto più felice.

Leggi anche

IL PAPA E LA GUERRA/ Mentre la carne sanguina, il realismo della pace viene solo dal VangeloPAPA FRANCESCO/ Lo sguardo di Bergoglio su ambiente, economia e guerreUCRAINA, RUSSIA, EUROPA/ "Dal corpo di pace alla dittatura Ue, cosa mi ha detto papa Francesco"