Iniziamo dalla faccenda delle chiacchiere e del mordersi la lingua. Mi è piaciuta un sacco. Non solo perché da domani fare un giro dalla parti del Vaticano potrebbe anche voler dire trovare mandibole serrate e lingue doloranti, ma perché l’episodio ha il sapore del buon catechismo dell’infanzia. Chi non ha avuto in famiglia una buona zitella che conosceva tutte le scorciatoie per finire in Paradiso, oppure una nonna, tutta tenerezza e saggezza, che sciorinava perle di fede popolare del tipo un Pater, un Ave e un Gloria prima di addormentarsi per salvare l’anima?



Per chi non ne fosse al corrente, ieri, durante la sua catechesi del mercoledì, il Papa ha detto chiaro e tondo quella che da molto tempo va predicando in Santa Marta: “le chiacchiere fanno male alla Chiesa”, “le chiacchiere feriscono”. C’è poco da divagare. Tutti negli ultimi mesi abbiamo sentito di lettere, tweets, post, dossier con accuse, insinuazioni, denunce e pettegolezzi tra presunte fazioni curiali. C’è persino un faldone frutto di un’inchiesta (vatileaks) sul tema passato tra le mani di due pontefici, e un processo consumato in mondovisione ad un maggiordomo pettegolo e infedele. 



Che tutto ciò non si stato un bene per la Chiesa ci si poteva anche arrivare da soli, se non si fosse caduti in una sorta di morboso interesse per il rimescolamento operato da Lucifero ben oltre la soglia consentita. Ma quello che il Papa ha aggiunto ieri sul problema, dicevo, mi ha fatto sorridere:  Jorge Mario Bergoglio, allevato da nonna Rosa, ha suggerito un metodo semplice semplice per fregare il Cornuto e non rendersi complici del gioco verbale al massacro. Mordersi la lingua. “Questo ci farà bene – ha spiegato – perché la lingua si gonfia e non può parlare e non può chiacchierare”. 



Non era una battuta, ma un consiglio. Anzi quasi una pratica virtuosa. Molto evangelica, nel coinvolgere il corpo alla conquista della santità. In fondo quel Gesù di Nazareth non aveva intimato di “porgere l’altra guancia” oppure “di scuotere la polvere dai sandali” o ancora di mettersi “una macina al collo” piuttosto che scandalizzare? Il Papa va in quella direzione e la cosa non mi dispiace. Prima di cercare alibi o sottili argomentazioni che giustifichino una parola o un giudizio di troppo è meglio un colpo secco, la lingua dolorante ed evitare la tentazione. C’ho provato e nel pomeriggio ho dovuto mangiare un gelato per alleviare il dolore. Non mi è andata male, la terapia era dolce e gustosa, ma devo dire che il metodo empirico-popolare funziona. 

Perché siamo onesti, la tentazione di chiacchierare a sproposito dell’uno o dell’altro ce l’abbiamo tutti: la perpetua che scruta le mise di chi entra in cappella (“Si può andare in giro con i capelli viola?”),i membri dei consigli pastorali scelti con il metodo Cencelli, i catechisti che ce l’hanno con  gli animatori, gli animatori che ce l’hanno con il vice-parroco (“hai visto con che macchina va in giro?”), il vice-parroco che ce l’ha con il parroco (“che è tanto bravo però”), il parroco che se la prende con il vicario generale (“non si rende conto che…”?), il vicario generale etc etc…

Tutti finiamo per impicciarci di cose che non ci riguardano, accessorie e inutili, provando il malefico piacere di cogliere in fallo l’altro, di testare la nostra bontà sul limite altrui, cedendo a peccati veri come invidia e superbia, e ad uno di risulta come la vanità. Tutto questo nel pettegolezzo vario. Come è finito il Papa a parlare di ciò? Affrontando il tema dell’unità nella Chiesa. Una Chiesa che, ha detto, non deve essere “privatizzata” per l’egoismo di qualcuno e la mancanza di fede di molti. Una Chiesa unita nella diversità. Una famiglia in cui il dolore di uno è la sofferenza di tutti. E anche qui una verifica semplice semplice per testare il nostro livello di partecipazione al Corpo di Cristo che è la Chiesa. Provare a chiedersi “quanti di noi pregano per i cristiani che sono perseguitati”, per chi sorella o fratello “è in difficoltà, per confessare e difendere la propria fede”? lo ha chiesto il Papa ai fedeli in piazza san Pietro. E lo chiede a noi. Come ha invitato a fare Francesco, “Ognuno risponda nel cuore”. 

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