Francesco, ormai è chiaro, ama spiazzare. E il giorno dopo il dettato, dalla finestra del palazzo apostolico, delle nuove porpore, sgombra ogni analisi di geografia ecclesiale e spiattella il criterio delle sue scelte, che poi è il più ovvio e il meno citato. Così mentre le pagine dei quotidiani di mezzo mondo si riempiono di titoloni con “bocciati” e “premiati”, individuando “strappi” e “ridimensionamenti”, profetizzando “rivoluzioni” e “capovolgimenti” negli equilibri di una chiesa sempre più universale e colorata, assesta un altro colpo alla protervia di certi osservatori clericali.
Una bella lettera, scritta di suo pugno, per ricordare a chi è entrato nella lista dei 16 più 3 (vale a dire l’elenco dei presuli designati ad entrare nel concistoro del 22 febbraio da vescovi e ad uscirne cardinali) cosa significa ricevere la berretta rossa. Non una promozione, né un onore, né una decorazione. Insomma inutile gonfiare il petto pronti a vedersi appuntare la medaglia quale ricompensa per un eroico gesto, il compito non è ancora svolto, anzi inizia adesso. Bergoglio non rinuncia ad improntare una prassi antica del suo personalissimo stile. Così, dopo aver chiamato a collaborare pastori di tutto il mondo, gli spiega pure cose si aspetta e persino come devono comportarsi.
Quello che pretende è “un servizio” e anche esigente. “Ampliare lo sguardo e allargare il cuore”. A bravi vescovi, molti dei quali ben piantati nella loro terra, diligenti pastori di altrettanto ordinati greggi, alcuni persino al limite della pensione, qualcuno addirittura con la valigia pronta per il Paradiso (penso a mons. Loris Capovilla, meraviglioso segretario dell’indimenticabile Giovanni XXIII, e all’espressione con cui accoglie ogni visitatore) chiede di “poter guardare più lontano e amare più universalmente, con maggiore intensità”.
Se si mette in conto anche il simbolismo del rosso porpora, legato alla possibilità del martirio, fossi tra gli esclusi tirerei un bel sospiro di sollievo per averla sfangata. Il cardinalato è quasi una rogna, se inteso alla maniera bergogliana. Poca pomposità, nessuna coccarda, scarsa visibilità e un surplus di responsabilità e fatica. Francesco ha espresso anche il desiderio che gli imprescindibili festeggiamenti avvengano in maniera sobria. Austerità e povertà nell’accettare un colore lussuoso e sacro. Poca mondanità, parolaccia bandita dall’esperienza ecclesiale del pontefice argentino.
Non vedremo quindi ricevimenti, sfilate di diplomatici e baroni, ossequi clericali: la liturgia che il potere mette in campo quando un nuovo adepto entra nel circolo degli eletti. Non si conquista un posto, non si sale un gradino, il neo cardinale dovrà “abbassarsi”, diventare “servo dei servi”, vestire di umiltà. In pratica riscoprire la propria evangelica testimonianza, mettendosi sulla stessa via del Signore.
Alla luce di quanto messo nero su bianco da Papa Francesco si comprendono anche le sue scelte nelle vesti di “creatore” di nuove porpore. La prima e più sfacciata nella sua evidenza: non conterà più dove carriera e caso (attenzione, proprio “caso”, non Provvidenza) ti hanno piazzato, ma solo ciò che testimoni. Non importa se sei pastore di una diocesi di antica e paludata “tradizione cardinalizia” o di una comunità collocata in una impronunciabile località dove fino a qualche anno fa si veneravano le noci di cocco, la berretta ti sarà conferita per ciò che potrai dare alla chiesa universale e in particolare al Papa, per le tue qualità a servizio del Vangelo.
Ecco spiegate le “clamorose esclusioni” di vescovi che quasi ex officio, per il fatto di essere alla guida di diocesi avvezze alle porpore, solo qualche mese fa avrebbero avuto diritto ad essere ben collocati nella lista. In Italia qualcuno ha gridato allo scandalo per Torino e Venezia, e i relativi pastori, stoppati alla nomination. Ma le parole di Bergoglio indicano una volontà diversa, quella di “scardinare automatismi” che non aiutano il sensus Ecclesiae di Bergoglio (come ha giustamente rilevato nella sua analisi il collega Gianni Valente), il desiderio di riportare l’istituzione cardinalizia all’originaria autenticità, evitando gerarchie inutili in una chiesa che deve trovare la strada per una comunione reale e vera, e soprattutto il bisogno di purificare una struttura che ha ceduto troppo agli schematismi della bassa politica, lasciandosi infiltrare da logiche effimere e pericolose.
C’è un principio di uguaglianza che Bergoglio introduce nell’accesso al collegio cardinalizio, un criterio che non è di merito, ma di radicalità evangelica e di rappresentatività. Un dato che spiega la decisa predilezione per il sud del mondo, con America Latina, Asia e Africa in primo piano nel presentare cardinali di forte impatto, improbabili e decisamente fuori quota per i bookmakers, ma dalle storie affascinanti e coinvolgenti (basti pensare al coreano Andrew Yeom Soo-Jung, discendente da una famiglia di martiri, o al bukinabé Philippe Ouèdragogo, a lungo nella difficile frontiera del Sahel islamico). E poi le figure di collaboratori fedeli, che nel rispetto delle regole imposte dall’ancora valida Pastor Bonus, hanno ottenuto la berretta (è il caso dei quattro curiali a cui Bergoglio ha concesso la berretta). O ancora dell’italiano Gualtiero Bassetti, vescovo di Perugia, città che non vedeva un proprio cardinale passeggiare sul corso o predicare nella cattedrale dal lontano 1853. Uno che ieri a chi gli faceva le congratulazioni per la “posizione raggiunta” rispondeva schietto “valgo come il due di briscola”.
Francesco ha fatto bene i conti e ha deciso che qualcosa anche nell’assegnazione delle porpore doveva cambiare. Un bello scossone al “si è fatto sempre così” nella convinzione che il primo pericolo della Chiesa di oggi è il clericalismo mondano.