Come in precedenza molte amministrazioni comunali ad esempio Milano, anche il comune di Roma ha deciso di adottarsi del registro delle unioni civili. Una decisione, si sa, più politica che pratica, in quanto le unioni civili non sono ancora riconosciute da alcuna legge di stato, quindi si tratta di un registro puramente simbolico, ma che certamente serve a chi lo adotta per propugnare una campagna a favore di tali unioni. Non è piaciuta al Vicariato romano tale mossa: è una forzatura giuridica e il frutto di una miopia politica, si legge nell’editoriale del settimale Rona Sette, voce appunto del Vicariato romano. In tale editoriale si legge come una decisione nata dal tentativo di combattere le discriminazioni, sia invece “la vera discriminazione che consisterebbe nel trattare in modo uguale situazioni differenti, come sono le unioni civili e il matrimonio: nel secondo, infatti, due soggetti assumono precisi diritti e doveri di fronte alla legge, con rilevanza negoziale pubblica. Non si può barare con le parole”. Sempre nell’articolo si sottolinea l’inutilità giuridica di tali registri e anche il flop che si è registrato ovunque essi siano stati aperti, ad esempio nei sei municipi romani con meno di cinquanta coppie iscritte in otto anni. Pareri ovviamente opposti da parte di Pd e Sel. La capogruppo al consiglio comunale del Sel ha infatti detto: “A Roma  è in atto una rivoluzione culturale. L’Italia deve andare avanti nella strada dell’equiparazione e del riconoscimento dei diritti di tutte le coppie. Con l’istituzione del Registro delle Unioni Civili l’amministrazione Marino darà una risposta ai tanti legami affettivi che si formano al di fuori del matrimonio”.



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