“Le discussioni sono una cosa buona. Per me, che ho partecipato al Concilio, la situazione non è nuova, anche allora le discussioni erano fortissime. E questo è sano”. 92 anni di saggezza quelli di Padre Georges Cottier, teologo svizzero di fama mondiale, collaboratore per anni di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, cardinale dal 2003 per meriti sul campo, ancora oggi uno degli sguardi più lucidi e competenti sulla storia e la tradizione della Chiesa. Dall’appartamento all’interno del Vaticano, a pochi passi da Santa Marta, osserva con il sorriso e bonaria ironia ciò che accade nell’aula del Sinodo. Segue attentamente i resoconti colorati e partigiani dei lavori, stampa estera soprattutto e documenti ufficiali, ma non disdegna la visita e le confidenze di vecchi amici o ex studenti. “Il Papa ha fatto benissimo a domandare chiarezza. Se si tacciono le cose, per paura ad esempio, si lasciano le cose nello stesso stato”. Conosce le dinamiche sinodali, l’anziano cardinale che ha partecipato di diritto a molti incontri di porpore, e non si scandalizza per il frizzante confronto sul problema che sembra aver monopolizzato la discussione, quello dei divorziati-risposati. “Diciamo che il problema non è solo uno — mi spiega durante un’intervista che ho realizzato per TV2000 — non è solo quello che è stato sollevato. Il problema è che la gente non sente più il bisogno del matrimonio. Tutta una generazione non lo sente più. Vivono la convivenza come una fatto privato. C’è la paura dell’impegno: siamo troppo immersi nel tempo e nell’istante. C’è il culto del provvisorio, il consumo è legato ad esperienze limitate, che cambiano la persona e la sua vita”.
Insomma vige l’idea che la vita sia più ricca se si fa un’abbuffata di esperienze?
Certo, anche dal punto di vista sessuale: cambiare compagno o compagna è una modalità dominante nell’opinione pubblica. E questo è un grosso problema. La mia impressione è che un secolo, due secoli fa, quando ci sono stati i primi segni della secolarizzazione, lo Stato ha copiato la Chiesa. Il matrimonio religioso obbligatorio è stato sostituito da quello, con il risultato che il senso del matrimonio sacramentale come tale, è stato messo in dubbio. Ha prevalso l’individualismo. C’è un testo premonitorio di Sartre che dice: “l’uomo, l’individuo, è la sua libertà”. Nega la natura umana per ridurla unicamente all’arbitrio. Oggi ad esempio viene molto difficile parlare di diritti umani, nei parlamenti si difendono più che i diritti dell’uomo, quelli dell’individuo, dei gruppi, ad esempio quello degli omosessuali. Sartre affermava che “l’uomo è una libertà che non ha una natura”: c’è una condizione umana creata dall’uomo, dall’ambiente, dalla civiltà contemporanea che nega la natura come dato di fatto, proprio perché concepita come limite della libertà individuale.
La teoria del gender è nata proprio da questa prospettiva. Una dei primi a teorizzarla è stata la compagna di Sartre, Simone de Beauvoir, che ha detto “non si nasce donna, ma si diviene”. E divengo perché lo scelgo, o meglio scelgo ciò che la società ha scelto per me. E’ un ateismo che pervade il subconscio della cultura europea.
Da dove ripartire allora?
La pastorale familiare comincia con la predicazione. IL Papa ha scritto delle cose magnifiche su questo. In questi giorni rileggo quotidianamente l’enciclica Ecclesiam suam, per prepararmi alla beatificazione di Paolo VI. Ci sono delle pagine bellissime sul primato della predicazione, sull’annuncio del vangelo. Il patrimonio biblico mi sembra sia lasciato troppo da parte. Si deve mostrare anche ai non credenti che questo patrimonio dice cose essenziali su cosa è l’uomo. Perché assieme alla grande libertà di cui ho parlato, c’è una profonda disperazione sulla ricerca dell’identità. L’uomo non sa chi è.
E sul tema dei divorziati-risposati che sta appassionando i padri sinodali?
Credo che ci sia una certa trappola nella formula che in sé è giusta: “divorziati-risposati” Che vuol dire? Il matrimonio cristiano non ammette il divorzio, in realtà parlando di questa categoria si appiattisce il matrimonio sacramentale al livello politico e temporale. Certo ogni sacerdote conosce qualche caso. Ma bisogna chiedersi: dietro la formula chi c’è? Una persona abbandonata con dei figli, che non ce la fa più e trova un compagno? Oppure un’altra che ha lasciato la famiglia per sposare un nuovo compagno o compagna più giovane nel tentativo di vivere una nuova vita? Sono tutti divorziati-risposati eppure i casi sono molto differenti. Nel primo si può capire la solitudine, la difficoltà, la debolezza, persino la necessità…nell’altro c’è un adulterio scandaloso. Poi che ne facciamo della persona abbandonata che rimane fedele? Che ne facciamo dei figli? Sono i grandi ignorati di queste problematiche. E questo mi stupisce molto. I figli del primo matrimonio, i figli del secondo, i figli forse di un altro matrimonio, pluri-famiglie con dei drammi personali…cosa pensano i figli abbandonati? Non voglio prendere posizioni perché è il Sinodo che parlerà, ma vorrei che tutti questi elementi fossero considerati. Le parole di Gesù sull’indissolubilità sono fermissime. Ma è la grazia di Dio che ci libera dalla durezza del cuore, se rimaniamo fedeli.
Nessuno scontro dunque tra dottrina e misericordia?
La misericordia è al centro della dottrina. Il cuore del cristianesimo è l’amore di Dio per noi, la misericordia divina. Sono alcuni teologi, alcuni cultori del diritto canonico a difendere il legalismo. Ma la rigidità nella dottrina non dovrebbe esistere. Credo che la chiesa di Francesco abbia preso coscienza che nessuno, qualsiasi sia la sua posizione, deve essere lasciato. Dobbiamo accompagnare le persone abbandonate, accompagnare anche quelli che vivono una nuova situazione matrimoniale e che soffrono. Non sono esclusi dalla Chiesa anche se non hanno accesso al sacramento.
Un consiglio per i padri sinodali da lei che ha vissuto il Concilio?
Vorrei sapere se tutti hanno letto bene i testi conciliari. E’ un po’ impertinente dire questo, ma spesso si parla dello spirito del Concilio senza conoscerlo. Sono molto felice della beatificazione di Paolo VI, la prima crisi è stata vissuta proprio da lui, nel ’68. Le prediche che tenne su quella crisi non hanno perso l’attualità. Si dovrebbero meditare. La crisi attuale è molto forte, ma è iniziata da molto lontano. Siamo su una via suicidiale, dobbiamo ripartire dalla forza e dalla novità del Vangelo. Nella predicazione abituale ci sono troppi silenzi su alcuni aspetti del Mistero di Cristo e sulla sua radicalità. Il Papa attuale, Francesco, parla molto della bellezza, della gioia della vita cristiana. E’ questa la risposta.
(Cristiana Caricato)