Tre passi avanti e due indietro. Il card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera e presidente della Conferenza episcopale tedesca, affrontava, ieri mattina, i giornalisti ansiosi di capire come sarebbe andata a finire nell’aula sinodale, alla vigilia della votazione di quella Relatio che sembra già la coperta troppo corta per le troppe buone e audaci intenzioni o per le necessarie “correzioni” e “precisazioni” maturate nel confronto dei Circuli minores. Il buon senso e la proverbiale schiettezza bavarese gli hanno fatto spiegare come stanno le cose. In queste ore si votano emendamenti e proposizioni da inserire in quella Relatio Post Disceptationem, che pronunciata dall’arcivescovo ungherese Peter Erdo, ma scritta in gran parte dal teologo Bruno Forte, segretario aggiunto del sinodo, ha fatto inalberare qualche conservatore, storcere il naso per i troppi strappi in avanti e alzare gli scudi a quanti invece si riconoscono nella tensione al cambiamento. Insomma ha provocato un bel casino o nella traduzione ecclesiasticamente corretta “momenti avvincenti e intensi, non senza contrasti”.
Ormai è certo, la maretta nell’aula nuova del sinodo c’è stata, soprattutto quando il segretario, il card. Baldisseri, aveva accennato alla possibilità che le relazioni dei circoli minori, contenenti non poche obiezioni al testo proposto all’assemblea dopo la prima settimana di discussione, non venissero pubblicate. Tutto bene quel che finisce bene, in piena comunione e collegialità, le punture di spillo o i dubbi espressi da più parti (episcopato africano, nord americano e italiano in testa) hanno avuto l’onore della ribalta. La trasparenza è salva.
Ma intanto rimane da chiedersi come finirà questa sera, quanti voti raccoglierà la relazione conclusiva e chi alla fine risulterà vincente tra le due parti così ben delineate dal sanguigno presidente dei vescovi tedeschi: la spunteranno coloro che vogliono ribadire la posizione dottrinale della Chiesa su indissolubilità del matrimonio e unioni omosessuali, che non apprezzano certe aperture senza un preciso rimando alla Rivelazione e al Catechismo o chi invece, vescovi tedeschi in testa, credono che sia il caso di concedere l’accesso al sacramento della comunione a divorziati/risposati e vedono elementi di positività anche in unioni tra gay purché trentennali o giù di lì?
Qualche ora e il dilemma sarà sciolto. Certo è chiaro come il sole che il dinamismo è stato messo in atto, che a spingere il primo bottone è stato papa Francesco e che la discussione alla Chiesa fa bene. Per lo meno la fa sentire viva. La pensa così anche il card. Lluìs Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona, vicino a Bergoglio, che giudica in maniera totalmente positiva i giorni sinodali. “E’ certamente un fatto di Chiesa, di chiesa universale” mi ha detto mentre lo incontravo per un’intervista trasmessa da Tv2000 nella residenza di Santa Marta, “e in secondo luogo abbiamo vissuto in un clima di libertà. Il Papa ci ha detto il primo giorno parole verissime, importantissime: “Siate liberi, dite quello che pensate in coscienza per cercare il bene della Chiesa, delle persone, del matrimonio, delle famiglie. Ascoltatevi”. E ci siamo ascoltati. Abbiamo ascoltato 300 interventi i primi quattro giorni, 300 interventi di 4 minuti ciascuno. Abbiamo ascoltato con molta umiltà, con il desiderio di cercare un clima di fraternità e comunione”.
Ma la polarizzazione su questioni come i divorziati/risposati e l’atteggiamento da tenere nei confronti delle unioni omosessuali?
E’ un sinodo pastorale, non dottrinale. Il titolo recitava “Le sfide della famiglia contemporanea nel contesto della nuova evangelizzazione”. E’ ovvio che ci siamo occupati di sfide: le difficoltà di tante unioni, di matrimoni che non funzionano, di nuovi problemi posti dalla cultura individualistica. Sono rimasto sorpreso, pensavo che le nostre questioni, quelle dell’Europa occidentale, fossero un’esclusiva che al massimo includeva i paesi economicamente più sviluppati. Ma invece ho scoperto che c’è una globalizzazione della crisi familiare, comune a tutti i continenti. Nei gruppi abbiamo fatto parecchie osservazioni alla Relatio post Disceptationem e penso che qualche correzione si farà. Si cercano soluzioni pastorali, e non sono facili da trovare. C’è la fedeltà all’indissolubilità del matrimonio, la fedeltà alla Parola di Dio, ma c’è anche il bisogno di Misericordia. La Misericordia di cui il Papa ci parla tanto. Ma dobbiamo armonizzare fedeltà e misericordia. C’è tempo comunque, il documento che uscirà da questo sinodo straordinario sarà documento di lavoro e confronto fino all’assemblea dell’ottobre del 2015.
Ieri il card. Marx ha detto che un cambiamento dottrinale sul tema dell’accesso ai divorziati/risposati alla comunione è possibile. Lei cosa ne pensa?
Lo sviluppo dottrinale c’è sempre. Ma non una rottura con il magistero della Chiesa. Si tratta di recepire pastoralmente uno “sviluppo dottrinale” in particolare su questa impostazione della Chiesa magistra e madre. E’ vero, c’è sempre stata, ma forse oggi è necessario riscoprire il senso materno della Chiesa, la Misericordia come virtù cristiana. La dottrina non può dimenticare niente di quello che è Dio. E Dio è giusto. Ma è anche misericordioso.
Sembra che accoglienza e gradualità siano state le parole più pronunciate nell’aula sinodale…
L’accoglienza è nuova? Forse sì. Forse i nostri occhi guardavano altrove. Ma ricordiamo che Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio, al num. 84, parlava di un’attitudine accogliente nei confronti dei divorziati, sposati civilmente o uniti di nuovo: non parlava di esclusioni, anzi metteva in luce che non erano fuori dalla Chiesa, ma che potevano avere una vita di fede attiva all’interno della comunità ecclesiale. La Chiesa è sempre stata madre. Io ho scritto una lettera pastorale quest’anno dal titolo “Una Chiesa samaritana nella grande città”. E’ la lezione del buon samaritano che si avvicina a chi ha bisogno. L’altro aspetto è la gradualità. Si è fatto riferimento al num. 8 della Lumen Gentium, al rapporto della Chiesa con le Chiese orientali… ma queste sono questioni che domandano un approfondimento dottrinale più sottile, più profondo. Bisogna verificare se può essere una soluzione pastorale o no.
Eppure c’è chi teme i cambiamenti…
Penso che tutti noi cristiani dobbiamo stare attenti alla volontà di Dio. In ogni momento. Dio parla attraverso più persone e tutti abbiamo un dovere di conversione. Rimanere immobili in ciò che crediamo, pensiamo, non accettare alcun cambiamento, non è sano. Lo dice anche il Papa nell’Evangelii Gaudium, il “si è fatto sempre così” non è la norma pastorale. Certo i cambiamenti, le trasformazioni devono essere sempre secondo la volontà di Dio, secondo la Sua Parola conformi alla dottrina. Quindi sempre la stessa dialettica: fedeltà e misericordia.
(Cristiana Caricato)