Ci sarà stato qualcuno che avrà tremato, altri che avranno piegato il volto e rivolto in basso lo sguardo, altri ancora si saranno persi nel rivivere minuziosamente gli ultimi giorni di lavoro. Nella sala Sala Clementina l’aria doveva essere tesa, ieri mattina, quando Francesco ha iniziato quella che a tutti è sembrata una strigliata durissima alla Curia romana. E sì che dovrebbero esserci abituati, ormai, ai sorprendenti discorsi di Bergoglio, capace di trasformare sonnecchianti e abitudinali appuntamenti curiali in occasioni per svegliare cuori e animi addormentati. Perché di un esame di coscienza collettivo si è trattato ieri: scusa gli auguri natalizi, materia la dettagliata e lucida analisi dei mali e delle tentazioni a cui sono sottoposti cardinali, vescovi e monsignori che abitano i sacri palazzi.
C’è da scommettere che non mancherà chi accosterà Papa Francesco al Savonarola, ma di tutto si è trattato tranne che di un J’accuse passionale e retorico. Bergoglio non aveva né i toni né l’enfasi del fustigatore, piuttosto l’ardore e la tenerezza del padre di famiglia o del buon consigliere spirituale che prova a fare un po’ di pulizia nell’anima prima di un evento importante come il Natale.
Le facce erano scure, le tonache nere bordate di rosso foderavano i lati del salone, non si sentiva volare una mosca mentre Francesco dopo un avvio teologico e alto, volto ad definire la natura della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, scendeva nelle piaghe della carne, a cercare ferite e putrefazioni, per porre la medicina dell’amore misericordioso.
Perché è un medico “pietoso” Francesco, individua la patologia e consiglia subito l’antidoto. Ha capito che la Chiesa “ospedale da campo” rischia a volte il contagio dei virus che deve curare. Un corpo immerso nel mondo è esposto alla malattie, alle infermità e al malfunzionamento. E allora ecco le nuove piaghe della Santa Chiesa, non le cinque del Rosmini, ma ben 15 patologie esaustivamente elencate. 15 malattie imputate alla Curia, ma estese come insidie ad ogni cristiano, ogni comunità, movimento, ogni corpo ecclesiale dimentico del rapporto saldo e vitale con Cristo. Un catalogo pensato e stilato sulla strada dei Padri del deserto, un vademecum purificatore che dovrebbe aiutare, ha spiegato Francesco, ad accostarsi nel migliore dei modi al Sacramento della Riconciliazione.
Insomma non una requisitoria sui mali della Curia, ma un’opportunità di leggere in trasparenza la propria vita, guardare ciò che non va e cercare di correggerlo. Ed ecco l’elenco: la malattia del sentirsi immortale e indispensabile, conseguenza del “complesso degli eletti”, del narcisismo che non fa guardare oltre il proprio naso; il “martalismo“, l’eccessiva operosità di coloro che si immergono nel lavoro perdendosi la parte migliore, il sedersi ai piedi di Gesù. La frenetica pianificazione e il funzionalismo di chi, commercialista più che uomo di Dio, pretende di addomesticare lo Spirito Santo e “l’impietrimento” di coloro che perdono il cuore e la serenità nel loro impegno, diventando macchine di pratiche. E ancora l’Alzheimer spirituale, che fa dimenticare il Signore e la mancanza di comunione tra chi lavora nello stesso ambiente.
Nel lungo e puntuale inventario proposto da Bergoglio non mancano i mali che da sempre il pontefice ha indicato come pericolosi per il bene della Chiesa. La rivalità e la vanagloria, insieme a quella che ha chiamato schizofrenia esistenziale, la malattia dei monsignori dalla doppia vita, “frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare”, una patologia non rara che colpisce soprattutto chi si dimentica di fare il prete per concentrarsi su faccende burocratiche, entrando in un universo parallelo dove spesso ciò che si predica non diventa vita. Malattia gravissima, ha denunciato Francesco, come l’abitudine di lasciarsi andare a chiacchiere e pettegolezzi, paragonati addirittura a casi di “omicidio a sangue freddo”, terrorismo che “semina zizzania” e regala spazio al Maligno.
E poi l’indifferenza, il carrierismo, l’opportunismo, le facce funeree che nascondono arroganza e durezza. I circoli chiusi e gli esibizionismi, la tentazione di servirsi dei giornali per calunniare e diffamare insieme al bisogno dell’accumulo, la necessità di colmare il vuoto del cuore con la materia spicciola. E qui l’aneddoto che è un capolavoro: Bergoglio ricorda il trasloco di un giovane gesuita che mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi, bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, da un vecchio confratello dotato di molta ironia:“questa sarebbe la ‘cavalleria leggera della Chiesa’”? Inevitabile pensare a certi traslochi che hanno occupato pagine di rotocalchi e impegnato rubriche di gossip. Nessun nome, ma non è difficile collegare molte delle malattie menzionate da Francesco a nomi e volti. Eppure il Papa ha usato sempre il noi, mettendo anche se stesso nel calderone, desideroso di vivere il prossimo Natale con un cuore sanato dalle ferite del peccato.
Nessuno potrà esentarsi dal guardare alla propria vita e chiedersi se una qualche ragione il Papa ce l’abbia. In fondo il suo non è altro che un richiamo evangelico e ricco di passione alla conversione, prima di accogliere il Bambino Gesù nella mangiatoia. Monsignori e cardinali potranno consolarsi con l’ultima illuminante e misericordiosa battuta: “I sacerdoti sono come gli aerei, fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro“. Nella speranza di rimanere ancora per aria.