Scriveva nel 1981 sul Giornale del Sud Giuseppe Fava: “Un giornalismo fatto di verità impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato in grado di combattere”. Il coraggioso lavoro di queste persone è importantissimo perché una informazione libera e completa è un prerequisito di qualunque democrazia: tutti noi dobbiamo far sentire loro il nostro affetto e la nostra vicinanza.
Parole ripetute e riscritte poche ore fa dal presidente del Senato, Pietro Grasso, sul suo profilo facebook, a proposito dell’inchiesta “Mafia Capitale”. Il difficile confine tra notizia e informazione esplode in tutta la sua potenza in queste ore. La politica utilizza questa inchiesta per attaccare gli avversari, spesso senza rendersi conto che prima di sparare nel mucchio andrebbe analizzato il lavoro quotidiano di ciascuno che si impegna nella cosa pubblica, dimenticando troppo spesso l’impegno a servizio di tutti i cittadini, l’obiettivo del bene comune. I cittadini venendo a conoscenza, spesso per sommi capi, di questa inchiesta, peggiorano il concetto di percezione della politica e del lavoro dei politici. Si convincono che la società possa fare a meno della politica e i risultati sono messi in evidenza dal sempre più crescente abbandono delle urne al momento in cui ciascuno viene chiamato a eleggere i propri rappresentanti.
Parafrasando il mondo di sopra e quello di sotto, in mezzo troviamo i giornali e i giornalisti. L’inchiesta romana ha tirato in ballo il direttore del Il Tempo, Giammarco Chiocci: alcuni articoli che avrebbero in qualche modo incontrato i “desiderata” dell’ormai famigerata associazione a delinquere romana. Giornalisti colpevoli, collusi o ingenui?
Non esiste sicuramente una verità assoluta. Ogni persona è una storia a sé. Ma c’è un sottile filo rosso che unisce questo mestiere. Quella che in gergo viene chiamata la “cronacaccia” per catturare notizie, arrivare un momento prima degli altri, a volte anche degli inquirenti e degli investigatori, deve avere fonti di ogni genere. Più o meno lecite (basti pensare a “corvi” nelle varie Procure), più o meno border line con il mondo della criminalità.
Sull’agenda di Carminati compare anche il direttore del Tempo, Gianmarco Chiocci. I due si sarebbero incontrati per discutere la campagna. Nell’ordinanza si legge che Massimo Carminati «si era addirittura mosso di persona, incontrandosi, in data 13.3.2014, con il direttore de “Il Tempo” (v. conv. del 13.3.2014, RIT 2024/14, progr. 4); seguito da rapporti del Buzzi con la giornalista Valeria Di Corrado che con l’on.Micaela Campana, che rispondendo, sul punto, al Buzzi, che sollecitava un’interrogazione parlamentare, chiudeva l’sms, scrivendo “…bacio grande Capo”».
Il direttore de Il Tempo in un suo editoriale sottolinea che “rispetto poi al faccia a faccia con Carminati, mai conosciuto o incontrato prima, abbiamo già dato conto il primo giorno di quest’inchiesta sviluppata quotidianamente da Il Tempo su decine e decine di pagine. Quando il «Nero» ce lo siamo trovati davanti abbiamo provato anche a strappargli un’intervista, come da anni tentano di fare decine di giornalisti. L’interessato, però, non ne ha voluto sapere”. Rapporti sicuramente border line che l’inchiesta approfondirà.
Rimane l’aspetto di fondo che vale in questa come in tante altre occasioni. Il mestiere di giornalista rimane difficile ma essenziale. In un mondo in cui tutti si inventano comunicatori è la capacità di discernere la notizia il compito primo di ciascuno che scrive. Offendo al proprio lettore un quadro dove il pubblico si sofferma a guardare l’insieme, dove può approfondire il particolare, dove, alla fine,si formerà un proprio giudizio. Ben vengano incontri e confronti se servono a informare il pubblico. L’importante è non perdere mai la strada della verità.
(Alessandro Tiraboschi)