E’ diventato grave il tono della voce, le parole sembravano uscire a fatica, trattenute da una sofferenza intima, profonda, inestirpabile, mentre il volto era serio, a tratti sofferente, mutevole nel passare dalla pietà all’indignazione. Non c’era nulla di retorico nell’appello che ieri Francesco, al termine dell’udienza generale, ha lanciato in favore “dell’amata Siria”. Impossibile dopo il martirio di padre Frans, il gesuita olandese assassinato ad Homs, lunedì scorso, a 75 anni, dopo 50 passati a far del bene, ad amare gratuitamente, e indifferentemente, cristiani e mussulmani. All’alba del 7 aprile, nel quartiere della città siriana che è diventato il fronte più crudele del conflitto, fuori dalla chiesa di Bustan ad Diwan, massacrata dai colpi di mortaio, l’omicidio: prima le botte, i lividi sulle tempie e il viso, poi gli spari, per freddare un animo indomito, un religioso che aveva rifiutato di lasciare la città vecchia, assediata dalle forze del regime di Bashar al Asssad.
Non gli interessavano le macerie, ma i disperati. Gli uomini e le donne troppo poveri o troppo deboli per lasciare quell’angolo di inferno. Era rimasto fedele, padre Frans, ad un popolo, ad una terra e alla sua missione, sebbene fosse diventata rischiosa. Un uomo di pace e di grande coraggio. Uno di cui andare fieri, ha dichiarato a caldo il confratello Padre Federico Lombardi. Era l’ultimo europeo rimasto ad Homs, si consumava in appelli, l’ultimo tre mesi fa, per gli abitanti intrappolati tra le milizie della Coalizione Nazionale Siriana e le forze di Damasco. Vedeva la sua gente morire di fame, la sua chiesa sventrata, la fuga degli altri cristiani, la morte incalzante. Ed era rimasto. Ostinatamente. Perché, aveva dichiarato, “il popolo siriano mi ha dato tantissimo: tanto buon cuore, tanta ispirazione e tutto quello che ha. Adesso soffre. E devo condividere il suo dolore e le sue difficoltà.”. Sì, c’è da esserne fieri. E lo sarà anche Francesco, di questo confratello che aveva imparato l’arabo in Libano 50 anni fa, e che con il diploma da psicoterapeuta si era messo a costruire ponti e relazioni tra cristiani e musulmani diventando l’anima di un progetto agricolo, Al Ard, diventato terreno concreto di dialogo.
Sentiva di tanto in tanto Giorgio Bernardelli, bravo ed esperto collega, sempre attento a ciò che accade oltre il nostro naso, e raccontava di quella sua “resistenza umana”, della necessità di testimoniare la bontà e il bene in un luogo che sembrava non avere più futuro. Papa Francesco ha parlato di padre Frans, come di uomo buono, amato e stimato da cristiani e musulmani, colmo di gratuità e di amore. E ha raccontato il suo dolore per il vecchio gesuita e per la gente che soffre e muore in quel paese martoriato. La Siria è stata a lungo la preoccupazione costante e sotterranea di un pontificato che è avanzato negli ultimi mesi con la forza dirompente di una rompighiaccio.
L’aria di crisi più monitorata dalla diplomazia vaticana, proprio per volere del pontefice che già aveva avuto la forza e l’audacia di fermare, a settembre, armato di rosario e speranza, un raid che sembrava inevitabile e imminente. E’ tornata ad essere la spina nel cuore. Nel suo breve appello il pensiero per le tante persone sequestrate nella regione, cristiani, musulmani, vescovi e sacerdoti.
Tra loro anche l’altro gesuita di cui non si hanno più notizie dal luglio scorso, padre Paolo Dall’oglio, probabilmente rapito dai qaedisti nel nord della Siria. Ancora una volta Bergoglio ha chiesto di pregare. Per il paese dilaniato dal conflitto, per il popolo che soffre, per l’intera regione. E poi ha gridato: “per favore, tacciano le armi, si metta fine alla violenza!”. Ai responsabili siriani e alla comunità internazionale ha chiesto le cose di sempre: rispetto del diritto umanitario, cura della popolazione bisognosa di assistenza umanitaria e impegno per la pace, attraverso il dialogo e la riconciliazione. Le medesime cose chieste, tre mesi fa, dall’anziano gesuita olandese.
Oggi le parole del Papa hanno la consistenza vischiosa e densa del sangue di un martire. Non ci possono scivolare addosso. Non possiamo permetterlo. Se non possiamo costringere le parti a ragionare, ad usare saggezza e sapienza, dobbiamo almeno cingere d’assedio il Cielo, per un dono che oggi appare impossibile. Avere lo stesso coraggio e la stessa fede di quel buon uomo che curvo di anni, con lo sguardo limpido, sorrideva sereno a chi lo invitava a fuggire. La morte non fa paura a chi ama la Croce.