L’ennesima tragedia. Alcuni alunni svizzeri in viaggio di istruzione a Roma sono alloggiati presso una struttura religiosa. Uno di loro viene colpito al torace da un coltello, ma la telefonata al pronto soccorso e l’accorrere dei soccorritori sono del tutto inutili: il ragazzo muore. Questa la cronaca, agghiacciante, ma tremendamente vera. Di fronte a una tragedia simile la prima cosa è il silenzio, perché di fronte ad una vita spezzata in modo così sciocco e assurdo non prevalgano le parole inutili.
La seconda cosa da raccomandare, però, è quella di chiedersi come evitare che fatti del genere accadano in futuro. Credo che abolire del tutto i viaggi di istruzione sia una soluzione un po’ troppo semplicistica. Le cause di questo fatto, omicidio colposo, premeditato, oppure gioco degenerato in tragedia, saranno indagate dalla magistratura. Io non sono un giudice, né un criminologo. Mi interrogo però in quanto docente sull’opportunità o meno di effettuare un viaggio di istruzione. Temo che le notizie di cronaca come questa inducano a soluzioni drastiche, del tipo: abolizione assoluta e definitiva dei viaggi di istruzione. Questo però vorrebbe dire escludere a priori che il viaggio di istruzione possa avere una valenza didattica.
Personalmente non sono un habitué di questi viaggi di più giorni (e notti), dal momento che in tutta la mia carriera ormai trentennale di docente ne ho fatto uno solo. L’esperienza che io ho fatto con i miei alunni, però, è stata notevolmente positiva: si è trattato di un arricchimento culturale e umano, un’occasione davvero per sperimentare sul campo le conoscenze, e per approfondire il rapporto educativo con i ragazzi.
In base a questa mia, pur limitata, esperienza, rifuggo da ogni generalizzazione, non ritengo giusto né demonizzare, né esaltare a priori la proposta dei viaggi di istruzione. Quando in collegio docenti i colleghi presentano un viaggio, valuto, in base agli elementi a mia disposizione, se questa proposta sia educativa o no, e arrivo alla conclusione che, il più delle volte lo è, per le motivazioni che i miei colleghi adducono e per la fase di preparazione e organizzazione del viaggio, sempre più complicata e burocratizzata, ma che obbliga a tener conto di tutti i fattori. L’importante è che, certamente, i docenti conoscano i loro alunni, che sappiano quali classi possono affrontare responsabilmente un viaggio, e quali no, ma credo che quando accadono cose di questo genere la responsabilità non sia solo della scuola, o dei professori accompagnatori.
Il problema è che i ragazzi, certe volte, sono inconsapevoli delle ripercussioni che possono avere le loro azioni sugli altri. Per questo credo che l’educazione sia fondamentale, e non solo a scuola. Occorre far ritrovare loro il contatto con la realtà, far capire quanto le azioni di una persona nella vita reale siano diverse da quelle che si possono creare in un videogame, educare alla responsabilità civile, ad una convivenza corretta e rispettosa degli altri.
Uno degli aiuti in questa direzione, e questo certamente è compito della scuola, è l’educazione al giudizio, al dialogo e alla riflessione critica. Generalmente, chi nella vita viene sollecitato, sin da subito, ad assumersi le responsabilità delle sue azioni e delle sue affermazioni, non fa stupidate del genere.