“Colpiremo i palazzi del potere in maniera colorata e rumorosa”. Questo il grido dei leader dei vari movimenti no Tav e no Muos, precari incazzati, disoccupati, Neetbloc (?), Blue block, ché il black è passato di moda, e ora i travestimenti, ancorché in passamontagna nero, si fano coi k-way blu. Antagonisti vari: il “no” è dominante, ma ci sono sigle più creative, come le “Cagne sciolte”, che protestano per l’obiezione di coscienza sull’aborto. Almeno sono sincere. Poi gli studenti, immancabili, anche se è arduo definire tali quei movimentisti perenni con i capelli quasi ingrigiti, fuori corso ormai di anni, che devono avere soldi da buttar via, o qualcuno interessato al loro casino che paga le salate iscrizioni universitarie, chissà. 



Roma blindata, chissà perché, se si voleva rumore e colore. Peccato che i manifestanti fossero armati, e diranno che è la polizia che glieli ha messi in mano, i picconi, i bastoni, le spranghe. Poi bombe carta, non innocue se uno dei partecipanti ai cortei ha perso una mano. Spiace, ma spiace altrettanto per la ventina di feriti tra le forze dell’ordine. Come sempre, alla fine, pagano più loro di altri, ché a questi hanno insegnato a limitare la violenza. E tocca stare coi poliziotti, rimembrando Pasolini, che non hanno avuto neanche la possibilità di andarci, all’università, altro che trastullarsi coi collettivi. 



Ma questa è propaganda, si dirà, di regime. E la manifestazione variegata e pacifica ce l’aveva proprio con il regime. Forse non ce n’eravamo accorti, pensavamo che questo governo arrabattato sull’onda di un simpatico ragazzone toscano fosse semmai parolaio, poco efficace, anche se volonteroso. Ci dicono che è una specie di dittatore ringhioso, e dire che con la Merkel non ci era sembrato. Urlano che vogliono lavoro e casa e reddito per tutti. Perché? Non pare gente smaniosa di lavorare. Ma senza generalizzare,  pensiamo a tutte le famiglie e la brava gente che il lavoro lo fa, e vorrebbe vederselo solo un po’ più pagato, ma non si sognerebbe mai di andare a sfondare vetrine e picchiare forze dell’ordine. Sono senza dubbio imbelli, o al servizio del potere. Casa, lavoro, reddito. E vacanze pagate, no?



Poi ce l’hanno con l’Europa: non che ci tratti molto bene, ma con chi diamine dovremmo andare? Uno splendido isolamento, una repubblica raccogliticcia di incazzati da ogni parte del mondo, sotto le ali di qualche intellettuale della lista Tsipras? Otterremmo più lavoro e ripresa economica? E che mai centrano la Tav, il Muos, la 194 e i matrimoni gay, con le più eclatanti delle proteste. Niente, si fa così, per gioco, il sabato pomeriggio. Non sono neppure ragazzini, anche se i ragazzini se li portano al seguito, per istruirli da piccoli. Si urla, si insulta, si distrugge. Di costruire non ne ha voglia nessuno. 

Sono in tanti? Sempre troppi, ma non sono in tanti. Solo che permettiamo loro di urlare. Solo che un sindaco debole e confuso non sa che pesci pigliare, e magari vietare le manifestazioni in centro sarà un atto illibertario, ma magari è un segnale, tanto urlerebbero lo stesso. Solo che resiste il retropensiero dei “compagni che sbagliano”. L’idea che sotto sotto questi stanno dalla parte giusta, e che averli dalla propria porta qualche voto in più. Nessuna indulgenza per i violenti, mai. E un po’ di pace per i cittadini di Roma, che già ha poco decoro, già disonora il suo nome, grazie a un’amministrazione assente o applicata al superfluo.

Mentre ci si picchiava in modo tanto allegro e colorito in centro, nello stesso centro un serpentone di ragazzini e genitori seguiva una croce, cantando e pregando. Siamo alla vigilia della Pasqua, sarebbe perfino normale. Nei vicoli che si snodano tra le chiese romaniche sui colli, con le pietre che raccontano la storia e l’identità perduta d’Europa, quella gente non era né indifferente alla situazione politica, né dedita alla preghiera come forma di ritirata rassegnata e sfiduciata. Tutt’altro: solo uomini e donne che si sentono figli, amati e capaci di amare, possono tirarsi su le maniche e lavorare per il bene comune; possono opporsi alla violenza, con la ragione e il cuore.