Mi frullano tante cose per la testa in questa Settimana Santa così intensa. Siamo qui a vivere ancora una volta pagine di Vangelo. Fatti che si sono verificati in una terra precisa, e mai pacificata, secoli fa e che si ripropongono in tutta la loro verità salvifica. Eppure il rischio della distrazione ci assedia. Per questo sono grata a papa Francesco per aver riportato ancora una volta l’attenzione sull’essenziale. Cosa conta davvero nel Mistero Pasquale? Io credo l’Agnello.



Lo dichiaro subito: mi pongo in aperta polemica con ambientalisti vegani, animalisti convinti e pasdaran in difesa di quadrupedi. Al presidente dell’Aidaa (tale Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente) che ha inviato una lettera per fax a Bergoglio scongiurandolo di fermare il “massacro degli agnelli” in occasione della Pasqua cristiana (e perché non per la Pesach ebraica che cade negli stessi giorni o per la macellazione quotidiana degli inermi ovini per mano di islamici famelici?) vorrei consigliare la lettura integrale della catechesi tenuta ieri da Papa Francesco, oppure un corso accelerato di storia e dottrina del cristianesimo. Perché di tutto possiamo fare a meno, tranne che della carne dell’Agnello. Non mi stancherò mai di dire che ciò che mi persuade della mia fede è la carnalità del rapporto con il divino.



Il fatto che il Dio che sta nei cieli si è fatto uomo ed è morto (macellato) per me. Ieri Francesco, alla vigilia del triduo pasquale, ha iniziato la sua riflessione proprio partendo da una delle pagine più tristi del Vangelo: il tradimento di Giuda. Lo ricordate, l’infame (ma siamo io, tu, lei, lui…) va dai capi del Sinedrio per mercanteggiare e consegnare il suo Maestro. E gli dice “quanto mi date?”. Bergoglio ha sottolineato: “Gesù in quel momento ha un prezzo”. La frase mi ha colpito come uno schiaffo. Non ci avevo mai pensato, sempre concentrata sui trenta denari, quasi sempre rappresentati in un sacchetto di juta. Ma in quel momento il mio, il nostro e il suo Gesù è una cosa, un oggetto, un prodotto da vendere. Per dirla tutta “un pezzo di carne”, da un tot a peso. E’ l’inizio della sua umiliazione.



E’ l’avvio drammatico della Passione, un percorso doloroso che “Egli sceglie con assoluta libertà”. E’ messo sul mercato e in questo modo comincia la spogliazione, via che percorre fino alla morte, come un delinquente qualunque, sulla Croce. E’ l’Agnello. E’ l’Innocente che muore, Carne che si fa percuotere, battere, trafiggere e crocifiggere. Allora sì che mi si attorcigliano le viscere, che mi si strazia il cuore, che non riesco a trattenere la commozione. Quando penso a Gesù/Agnello che prende tutta la sofferenza su di sé, la “indossa” – come ha detto Francesco – per lenire il nostro dolore. E’ un pezzo di carne per il mio, il tuo, il suo peccato. Per la mia, la tua, la sua salvezza.

Certo scandalizza questo Dio mansueto, che si fa condurre come un animale al macello, che invece di mostrare la muscolosa onnipotenza per sconfiggere il male e il nemico, nel trionfo dei suoi angeli, sceglie e ci mostra la “vittoria umile”, il fallimento. La Passione non è un incidente, ha spiegato ieri il Papa, così come la resurrezione non è l’Happy end  di un film, il lieto fine di una favola. Tutto avviene nella carne. E tutto trionfa nella carne. Perché Dio interviene proprio là dove si “infrange la speranza umana”. Proprio nel momento in cui tutto sembra perduto, quando l’Agnello è sgozzato e il dolore prende il sopravvento, proprio in quel momento, rassicura Francesco, non bisogna scendere dalla Croce, ma vivere la notte oscura attendendo il mattino. E’ nell’istante più buio che Dio interviene. L’Agnello è la nostra salvezza. Allora come vivere la Settimana Santa?

Francesco ha dato un suggerimento. Ci farà bene “guardare il Crocifisso, baciare le piaghe di Gesù, baciarle nel crocifisso”, nella consapevolezza che se anche fosse rimasta un’unica persona al mondo, Lui avrebbe fatto tutto lo stesso, solo per quella persona. Baciamo il crocifisso e ringraziamo il nostro Gesù. E dopo, nel giorno di Pasqua, a chi piace, venga servito tranquillamente l’agnello (a me non piace ma gradisco un considerevole numero di altri quadrupedi, se ben cucinati).