Ci sono luoghi, nel mondo, in cui nascere femmina è peggio di morire. Ci sono luoghi in cui la tua vita, se sei una femmina, diventa un problema. E se non nasci, spesso e volentieri, è meglio. Pakistan? Afghanistan? Arabia Saudita? Si, ma anche Italia. Peccato che non abbia importanza, per alcuni. Anche per le paladine salottiere di quell’insopportabile femminismo che sta finendo di massacrare le nostre donne. Succede, in un noto ospedale di Roma, che una bimba tunisina la cui nascita si attende a giorni, se non ad ore, non è gradita; da chi, vien da chiedersi: dai suoi genitori, che hanno già interrotto anticipatamente quattro gravidanze per lo stesso motivo. Erano in arrivo figlie femmine. Stavolta, non avendo fatto in tempo ad “eliminare” il problema, hanno già fatto sapere che non la vogliono, che la rifiutano e che qualunque sia la sua sorte non è una faccenda che li riguardi. Madre e padre hanno già eliminato dalla propria vita quella figlia “scomoda”, della quale non saprebbero che farsene; eh già, perché una figlia femmina è come un tema scritto in brutta, se viene male si straccia il foglio, magari lo si usa per pulire la macchia di inchiostro sul tavolo e poi si getta nella spazzatura.



Tanto il foglio di carta non ha sentimenti, non pensa, non piange, non ride, non soffre, non vive. Come una figlia femmina. Rifiutata prima ancora di nascere, disconosciuta prima ancora di respirare e destinata a rimanere mesi in una culla di ospedale prima di trovare un briciolo di amore e di dolcezza da parte di una famiglia; questo è il destino di chi nasce femmina nell’Europa e nell’Italia del multiculturalismo e del buonismo che tanto piace ai Soloni di Bruxelles, che pontificano sui diritti umani quando si tratta di alcune categorie che fanno chic e consenso e sorvolano bellamente su una creatura innocente che viene ritenuta colpevole, non solo da quei genitori ma anche dallo Stato italiano che non li punisce espellendoli, di essere nata femmina. Tu, piccola anima fragile, che nulla sai e nulla comprendi, sei colpevole. Chi ti sta attorno, pur potendo e dovendo proteggerti, ti ha dimenticata. Le donne che versano false lacrime, che si stracciano le vesti perché in tv passa un seno più esposto o uno sguardo più ammiccante, ti hanno abbandonata. Sei femmina, e sei sola. Contro gli amanti delle tradizioni che infibulano e stuprano, contro i sostenitori del politicamente corretto che segrega e vela a forza, contro i campioni delle bugie multiculturali.



Quando ho raccontato questa storia orribile, che sta per compiersi, qualcuno ha avuto il coraggio ignobile di rispondermi che “anche in Italia, cinquant’anni fa accadeva”. E dunque questo giustifica il ripudio preventivo di una figlia, perché così deve essere chiamato, solo perché femmina?

Se tutti fossero stati zitti come oggi, che Italia avremmo avuto davanti? Quella del matrimonio riparatore dopo lo stupro e del codice penale che non punisce la violenza sulla moglie. Una coppia, solo perché straniera e dunque portatrice di una inesistente tradizione che vedrebbe la femmina come “inutile”, va tutelata e assecondata perché è un suo diritto. Una creatura che viene al mondo per il miracolo della vita e aspetta solo la voce e le carezze della mamma, invece non è titolare, pur essendo nata in territorio italiano, di alcun diritto. Se questa è l’Italia che vogliono le elite buoniste europee, a cui ci pieghiamo supinamente ossequiosi, sento solo un profondo ribrezzo. Ribrezzo per chi viola e mutila la vita umana sin da prima che venga alla luce.



Vergogna per chi, tra quindici anni capirà e saprà che questo Paese ha lasciato che sua madre e suo padre disponessero di lei come di un oggetto. Un appello, in conclusione, al Giudice che verrà incaricato di seguire il suo affido: usi tutto il cuore di cui dispone per trovare, più presto che sia possibile, un rifugio sicuro a questa anima abbandonata, dove possa vivere con amore e serenità. Non c’è tradizione, uso o costume che possa rifiutare un’anima innocente che nasce. Quando sapremo punire e perseguire chi osa violare la sacralità della vita di una bambina o di un bambino saremo veramente una società a buon diritto civile. Allora, forse, questo tornerà ad essere un Paese in cui abbia un senso lottare per i diritti di chi muore senza aver mai visto la luce della vita.