Di papa Wojtyla, anzi di san Giovanni Paolo II, si diceva avesse dalla sua i «Papa-boys». Un termine con un sottofondo dispregiativo, spesso alternato con i «pasdaran di Dio». Doveva intendersi come il popolo del papa, la gente che egli radunava nelle piazze e negli stadi, e siccome al pontefice polacco venivano spesso affibbiati paragoni muscolari (con una frequenza e una inconsistenza che oggi vengono dimenticati da certi agiografi interessati) la stessa sorte toccava alle falangi di pellegrini che lo seguivano.
Che cos’è oggi il popolo del papa? Si può parlare di Bergoglio-boys? Lo spettacolo umano della piazza San Pietro di ieri (e di via della Conciliazione, di piazza Adriana e lungotevere fino quasi al Palazzaccio di piazza Cavour) offre qualche risposta. È gente che si avvicina molto all’idea di Chiesa secondo la definizione che ne diede Paolo VI, ovvero di «entità etnica sui generis». Un popolo di tante etnie, tante origini, tante provenienze diverse, ma unito, che si riconosce nel suo capo e gli obbedisce, immedesimandosi nel suo stile. Se Bergoglio appare serio e raccolto mentre celebra messa, ecco che le centinaia di migliaia di fedeli lo imitano, evitano slogan, urla e applausi (per quanto possibile) durante la celebrazione. È gente composta, che ha invaso Roma ma non ha creato più problemi del previsto, tant’è vero che ieri pomeriggio molti romani erano increduli davanti al fatto che non sia accaduto nulla con 800mila persone che avevano preso d’assalto la capitale. Il paragone con quanto avviene durante certe manifestazioni con poche centinaia di scalmanati è lampante.
È un popolo appassionato. Non ci si sobbarca migliaia di chilometri, nottate passate all’aperto, lunghe attese in piedi e lunghi ingorghi per andarsene se non c’è una grande passione, un ideale all’altezza della fatica, e una compagnia che sostenga questa fatica. Passione vuole dire un desiderio intenso, una domanda umana aperta, e il fatto che i pellegrini delle canonizzazioni non siano accorsi soltanto dalla Polonia o dalla provincia di Bergamo – terre di origine dei due nuovi santi – ma dal mondo intero (America Latina, Africa, India, Filippine, perfino dalla Cina) dimostra che a ogni latitudine il cuore dell’uomo è lo stesso.
Sono persone affascinate dal messaggio di Bergoglio, che parla la lingua dell’essenzialità e del coraggio. Ieri il papa ha paragonato la Chiesa dopo il Concilio alle prime comunità cristiane che vivevano soltanto di amore e misericordia, e ha esaltato i due papi del XX secolo che hanno dato corpo a questa Chiesa. Due pontefici coraggiosi che non hanno avuto paura di «guardare dentro le piaghe di Cristo», come fece san Tommaso: e qui Francesco ci ha sorpresi tutti, rivalutando un apostolo «moderno» in quanto «abituato a verificare».
San Tommaso non era incredulo, era uno che verificava. E le piaghe sopportate da Cristo nella passione sono «la verifica della fede»: tanti se ne vergognano, non due giganti dell’umano come Angelo Roncalli e Karol Wojtyla.
Il popolo di Roma di ieri è anche un popolo che prega. Fa impressione vedere una massa di gente così imponente ed eterogenea zittirsi quando arriva l’invito di Bergoglio a raccogliersi. Piazza San Pietro in preghiera muta, come già accadde nella sera piovosa dell’elezione il 13 marzo 2013, è uno spettacolo grandioso e commovente, ma anche misterioso. È lo spettacolo di migliaia e migliaia di persone libere che indirizzano la loro libertà verso un obiettivo comune, l’obbedienza a un gesto chiesto da un uomo per poter incontrare un’altra realtà, cui questo uomo − nella fattispecie un papa venuto dalla fine del mondo − rimanda.