“Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò”. Passo della Genesi universalmente noto. Evidenza naturale oltre che verità di fede. Realtà, per quanto falsificabile, manipolabile, ideologizzabile, ancora irriducibile. Alla fine quando si entra nella “carne” si rivelano sempre il maschile e il femminile. Uomo e donna. E ieri Papa Francesco l’ha detto in modo chiaro, in barba ai paladini del gender. “L’immagine di Dio è la coppia matrimoniale: l’uomo e la donna”. 



Non soltanto l’uomo, non soltanto la donna. Ma tutti e due. Uno. Un’alleanza. Discorrendo, con l’abituale scioltezza, di matrimonio e dintorni, nella sua catechesi del mercoledì, non ne ha esplorato il senso sacramentale, non ha indagato la spiritualità coniugale, né ha proposto i fondamenti biblici dell’unione. Ma è volato come sempre altissimo per scendere poi in picchiata in quella quotidianità affannata e confusionaria che è la nostra vita. 



Allora alleanza. Alleanza tra uomo e donna. Complici, compagni d’armi, confidenti solidali. Persino correi nel giardino dell’Eden, per poi diventare corresponsabili nelle incasinate vicende della Storia. La stimata e rispettabile ditta associata: Uomo e Donna. Una unione che si potrà sminuire o irridere, ma che è la trama di ogni esistenza. Un’alleanza che niente di meno rappresenta quella infinitamente più grande tra Dio e l’umanità. Un’alleanza che ha un’unica legge, l’amore. Quando un uomo e una donna (attenzione, solo ed esclusivamente questi vetusti generi) celebrano il sacramento del matrimonio, Dio si “rispecchia”, imprime il suo Dna nel loro amore. “L’amore è l’icona dell’amore di Dio per noi”. Già questo è vertiginoso. Ma se si pensa che l’unione nuziale non conosce astrazioni, ma solo materialissime sostanze (saliva, sperma, muchi e poi ovuli, spermatozoi, sangue, liquidi) si comprende l’infinita genialità dell’Onnipotente. 



Spero di non scandalizzare nessuno, ma noi crediamo in un Dio che si fa carne e si rispecchia nella carne. Quando leggo quella meraviglia letteraria che è il prologo di Giovanni, mi commuovo pensando al Mistero che entra nel ventre di una donna e si mischia con i suoi geni. Così come è commovente il mistero del matrimonio, i due sposi che in Dio diventano una solo esistenza. Biblicamente l’espressione è forte e inequivocabile, “un’unica carne”. Non corpo, ma carne. Quasi a sottolineare l’animalità dell’essere, la compenetrazione dei generi, l’annullamento nell’intimità massima. Due in uno. 

Bergoglio ha spiegato che questo è il vero dono di nozze. Dio che si specchia nell’amore concretissimo e carnale che si consuma tra un uomo e una donna. Tra le lenzuola del letto nuziale, nell’aggrovigliarsi di due corpi diversi, tra i liquidi e gli umori di due esseri distanti che per Grazia si ritrovano uniti nella stessa vocazione. 

Trovo tutto questo decisamente provocatorio e sconcertante. Molto più di certe battaglie sessiste e sessuali. Se desiderate dare scandalo, mi dispiace siete arrivati tardi. Ci ha pensato già Dio, all’inizio del mondo. Soprattutto quando ha preso l’unione uomo/donna come magnifica analogia dell’amore di Dio per il suo popolo. 

Ci sono certe pagine di Angela da Foligno, mistica del XIII secolo, che rendono con vividezza espressiva l’estasi del “Tu sei me, io sono te”, la perfetta e integrale unione con Dio, bellezza e bontà. Un’unione impossibile da descrivere se non per approssimazione con il linguaggio dell’amore umano, caricato di ogni accento o esplicito riferimento corporeo. Un disegno stupendo quello di Dio, ha riconosciuto Francesco. Un’alleanza che si gioca, però, nella semplicità e nella fragilità della condizione umana. Perché non ci sono solo le vette dell’estasi, ma anche lo sciabordio dell’acqua sporca dei piatti, i bambini urlanti, i soldi che finiscono al 15 del mese, la triturante pratica lavorativa, il nervosismo e il fastidio per un altro che è “altro da me”. 

Eppure anche per questo c’è l’antidoto. Mantenere salda l’altra alleanza. Il legame vivo che deve essere alla base del legame uomo/donna. Il matrimonio con Dio. “Quando la famiglia prega, il legame si mantiene”, ha assicurato il pontefice. C’è una bellissima pagina di Heinrich Boll, nel suo “E non disse nemmeno una parola”, in cui il protagonista Fred, nella miseria del dopoguerra tedesco, tra le macerie di una città dilaniata e quelle di un matrimonio che non ha resistito alla fatica quotidiana, riscopre la tenerezza per la moglie Kate nel ricordo di loro che pregavano insieme. È il momento della rivelazione, l’unico aggancio illuminante in un’esistenza provata da sofferenza, povertà e guerra, lo snodo per riscoprire l’amore reciproco, il desiderio di essere nuovamente l’uno per l’altra. 

È vero ciò che dice Bergoglio. Basterebbe pregare insieme per ritrovarsi amanti. E poi quelle ricette facili, facili che la nonna argentina deve avergli raccomandato quando cercava di svelargli il segreto di un santo matrimonio. Fare la pace sempre, a fine giornata, senza aspettare i caschi blu dell’Onu, ma azzardando una carezza. E le tre paroline magiche da ripetere come un mantra: permesso, grazie, scusa. Mai sentite per la verità tra i miei genitori, che pure si sono amati moltissimo. Ma ci sono sempre le eccezioni no? 

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