Caro direttore,
sabato ero anch’io in piazza San Pietro con cinquecento ragazzi del mio liceo per la giornata della scuola con papa Francesco. La risposta all’invito venuto dagli insegnanti di religione è stata sorprendente. Perché sono venuti questi studenti? Difficile dirlo. Per la maggior parte di loro più motivazioni si sono fuse insieme, ma forse la principale è stata quella di vedere il Papa.



In una giornata caldissima, col sole a picco, entriamo in piazza intorno alle 10.30. Ne usciremo più di otto ore dopo, sicuramente provati da questo autentico tour de force. Ma la fatica di questa giornata, ne sono sicuro, sarà presto dimenticata: resterà il ricordo di papa Francesco, che abbiamo visto passare proprio davanti alle nostre transenne, quel ricordo che consentirà di dire “io c’ero” e che è così importante per la vita di un giovane. Resterà, di sicuro, anche l’emozione provata al passaggio del Papa, quando tutti intorno a te si agitano e gridano e sventolano fazzoletti, e ti senti parte di un grande abbraccio, di un grande sorriso. Resteranno, insomma, pochi minuti di quelle otto ore sotto il sole, in neanche un metro quadro di spazio, attaccati ad una transenna. Ma, del resto, eravamo arrivati preparati, pronti al sacrificio. Se non altro abbiamo potuto raccontare di essere stati in piazza San Pietro e non dietro, giù in fondo, nel carnaio remoto di via della Conciliazione.



Resteranno pochi minuti e saranno determinanti. Ciò non toglie che sia giusto e opportuno fare delle considerazioni su come vengono pensati e gestiti eventi di questo tipo. Raccogliendo alcune osservazioni dei ragazzi e dei docenti, non può non emergere un certo disagio, dal quale, a sua volta, nascono spontanee alcune domande che vorrei rivolgere, sperando di essere ascoltato, a chi ha pensato la giornata.

La prima è proprio questa: è opportuno sottoporre dei giovani (che magari sono arrivati a Roma da molto lontano) ad un lungo stress di otto ore? Mi si risponderà che non si può fare altrimenti, quando arrivano a San Pietro più di 200mila ragazzi. E allora ecco la seconda domanda: è opportuno lavorare con questi numeri? È opportuno mettere insieme bimbi della materna, della scuola di primo e secondo grado che sono evidentemente soggetti molto diversi e con esigenze molto diverse, ai quali bisogna parlare in modo differente? Non sarebbe meglio una piazza San Pietro meno congestionata e una via della Conciliazione più vuota, ma con un pubblico più selezionato e, soprattutto, meno stressato dalle condizioni ambientali?



Questi sono dettagli organizzativi, ma molto importanti, anche perché condizionano l’intero evento. Continuando su quello che è stato proposto, una riflessione a parte merita la regia della giornata. 

Intorno alle 15, minuto più minuto meno, è cominciata una sorta di animazione da villaggio turistico, con proposte del tutto discutibili, ma soprattutto con un’impostazione piuttosto stridente rispetto al luogo. È strano, anche per degli studenti apparentemente abituati a tutto, sentire uno speaker sotto il cupolone che ti insegna la “sigla” della “festa”. È imbarazzante notare che la festa non c’è, non decolla, soprattutto tra gli studenti delle superiori, anche se viene continuamente annunciata, forse perché è pensata con un’animazione che si rivolge ai bimbi più piccoli. Forse perché non bastano delle mosse o degli sventolamenti di fazzoletti a produrre una festa. È anche un po’ imbarazzante uno speaker che presenta l’arrivo del Papa come quello di una star, che “ci sta già sentendo” da qualche parte e alla quale bisogna dimostrare tutto il nostro… calore.

Nel “pre-diretta”, vengono anche proposte testimonianze di livello, come quella dell’astrofisico Bersanelli, ma si perdono, non incidono, anche perché non c’è nemmeno il tempo di capirle: subito ricomincia l’animazione. Le proposte musicali si muovono tra due poli opposti: canzoni confessionali piene di sentimentalismi e brani oscuri o pseudo-simbolici, che naturalmente non vengono nemmeno spiegati (resterà un mistero, ad esempio, il messaggio o il senso di una canzone sul coleottero, che non può essere afferrato a quelle temperature e in quelle condizioni).

Finalmente arriva il Papa! Ma comincia anche la diretta Rai. E allora ecco spuntare Max Giusti (si presenta come “quello dei pacchi”, senza nemmeno salutare il padrone di casa) col suo cabaret; Veronica Pivetti che ripete per cinque minuti buoni lo stesso concetto; Francesco Renga che ci dice che la verità è che “siamo soli”; il ministro dell’Istruzione che ci scodella tutti i problemi e le buone intenzioni del mondo; presidi che parlano delle loro scuole; attori che recitano passi di don Milani… Ma quando parla il Papa? Boh! Cominciamo a rumoreggiare dalla piccionaia di piazza San Pietro, nella speranza (vana) che qualcuno si accorga che non ne possiamo più. Fortuna che siamo oltre le 18 e il sole è meno violento! Quando viene annunciata la Mannoia abbiamo la seria tentazione di tornare al treno. E infatti alcuni si avviano. Ma noi resistiamo: vogliamo ascoltare Papa Francesco.

Finalmente anche lui prende la parola, ultimo dopo una parata di ospiti, di amenità, di fuori programma che abbiamo fatto fatica a capire. Ringrazia e parla, ultimo, lui che avrebbe dovuto parlare per primo. Poi ringrazia. Capiamo che è la fine. Ci muoviamo per sciamare verso il treno. Ma sentiamo l’Ave Maria. Gli studenti si fermano e pregano. Poi c’è la benedizione. La prendiamo, e siamo felici. Eravamo lì, in fondo, per vedere, incontrare, ascoltare il Papa. Pregare con lui, essere benedetti da lui.

Ma qualcuno, evidentemente, non l’ha proprio capito.

Leggi anche

IL PAPA E LA GUERRA/ Mentre la carne sanguina, il realismo della pace viene solo dal VangeloPAPA FRANCESCO/ Lo sguardo di Bergoglio su ambiente, economia e guerreUCRAINA, RUSSIA, EUROPA/ "Dal corpo di pace alla dittatura Ue, cosa mi ha detto papa Francesco"