Chissà come sono le facce da “mugna quacia”. L’espressione piemontese, utilizzata ieri dal Papa durante la catechesi in piazza San Pietro, fa pensare. Non è solo l’ignoranza dialettale ad interrogare, ma anche il riferimento popolare ad un atteggiamento che evidentemente disturba, e non solo il pontefice. Traduzione in italiano: Acque chete? Madoninne infilzate? Gatte morte? Ho chiesto lumi a mio nipote adolescente, circa lo slang metropolitano in uso, ma non mi ha saputo trovare un sinonimo o espressione equivalente che non implicasse la censura. Fatto sta che mi aggrappo a quello che ha spiegato il Papa. 



Genere di persona che esibisce faccia da immaginetta, probabilmente quella dai contorni sfocati e luminiscenti, con bulbi oculari rivolti al cielo, rosso pudico sulle guance e mani giunte. Un santino praticamente. Ciò che Bergoglio ha voluto sottolienare evocando tale esemplare è la falsità di un comportamento, una modalità di presenza e di testimonianza ingannevole e forse persino perversa. 



Parlava di pietà il Papa, e cercava di smontare un’idea irreale di un dono dello Spirito Santo troppo spesso equivocato o frainteso. Un dono che come ha detto Francesco, “tocca nel cuore la nostra identità e la nostra vita cristiana”. Non è l’aver compassione, ha spiegato, ma l’indicatore dell’appartenenza a Dio. La pietà cristiana è sì una relazione ma non con l’oggetto del nostro sentimento, bensì con Colui che dà senso alla nostra vita e che mostra una “confidenza filiale” con noi. La Pietà, per il Papa, è l’autentico spirito religioso. 



C’è quindi un movimento verticale racchiuso nella parola e uno orizzontale. Prima viene la comunione con Dio, poi il sentimento di con-divisione e com-passione verso coloro che ci stanno accanto o che incontriamo ogni giorno. Pietà e non pietismo, ha avvertito Bergoglio. E qui entra in gioco la “mugna quacia”: non occorrono cristiani da vetrina, statue compute e schive da portare in processione o devoti carichi di modestia e ipocrisia. Ma persone autentiche, che come ha ben sottolineato Francesco, devono essere “davvero capaci di gioire con chi è nella gioia, piangere con chi piange, stare vicini a chi è solo o angosciato, correggere chi è nell’errore, consolare chi è afflitto, accogliere e soccorrere chi è nel bisogno”. Sembra tutto molto semplice, eppure niente è più complicato di una fede autentica. La tentazione risiede nell’irrequietezza. Anche questo lo ha detto il pontefice. Nel non trovare il passo della pazienza, la mitezza e la tranquillità necessarie per farsi plasmare da Dio. 

Credo che bisognerà rileggere con attenzione il passo della Lettera ai Romani suggerito dal Papa, in cui Paolo afferma “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo “Abbà! Padre!”. Ancora una volta troviamo l’invito ad uan figliolanza feconda, ad un amore gioioso, ad una confidenza operosa. L’espressione evangelica di una Chiesa capace di superare i pietismi per vivere in profondità il rapporto con Dio. Uomini e donne che non hanno ingerito manici di scopa, ma sono stati investiti da un Amore che scalda e trasforma. Non manichini devoti, ma splendidi cristiani. 

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