“I nostri bambini non possono muovere la testa, alzare un braccio. Perfino chiamare mamma o papà per loro è impossibile. Mio figlio ha 12 anni e dal 2006 è ricoverato nella Home. È affetto da miopatia tubulare, attaccato alle macchine dalla nascita. Sono stato il primo a richiedere un reparto tipo sub intensiva nel 2005 all’allora assessore alla Sanità Augusto Battaglia, e così è nata la home in hospital. Ora con lui ci sono altri quattro bambini nelle stesse situazioni e come genitori cerchiamo di dare dignità ai nostri piccoletti”. A parlare è Valter Mazza, il papà di Mirko, uno dei cinque bambini (insieme a Mattia, Fabiana, Giorgia e Alessandro) in coma e in terapia intensiva che si trovano ricoverati presso la Home in Hospital, il progetto di assistenza domiciliare che da otto anni si trova all’interno dell’ospedale Grassi di Ostia. Come riporta il quotidiano “Il Tempo”, con l’arrivo del piccolo Mattia i loro lettini sono stati stretti all’interno della camera, che è grande cinque metri per cinque e dove i genitori per entrare a far visita ai propri figli sono costretti a fare i turni. «Siamo arrabbiati –  dice un altro papà, Felice Centofanti – con i vari direttori che si sono succeduti in questa ASL RM/D negli ultimi sette anni e con i politici alla Regione Lazio. Il progetto Home in Hospital è curato da tutti noi genitori, dai fisioterapisti, dagli infermieri professionalmente ineccepibili. Ma la Asl cosa fa? Ci hanno preso con l’inganno dicendoci che, dopo aver fatto entrare il piccolo Mattia, avrebbero fatto i lavori nelle stanze adiacenti, disponibili anche nell’immediato, in quello che era il reparto di Pediatria, per l’ampliamento richiesto. Invece dopo l’inserimento del quinto bambino nulla è stato fatto, nessuno si è fatto vivo, non si sono degnati neanche di rispondere alle mail e alle telefonate». Proprio nel 2008 il progetto ha ricevuto due riconoscimenti: uno dalla Federsanità del Piemonte, l’altro come miglior progetto infermieristico. «E la Regione Lazio tiene nascosto il progetto per non istituzionalizzarlo – chiarisce Margherita Bernabei, una mamma -. Ogni Asl potrebbe adottarlo, è un progetto assistenziale che tutela i pazienti e i familiari, eppure non è degno di realizzarsi in un’altra struttura all’interno della recinzione dell’ospedale Grassi, così come è stato fatto per la casa del parto. I nostri bambini non la meritano? Forse stanno troppo male?».



(Serena Marotta)

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