Papa Francesco è anche un sovrano. E come tale ha agito. In più è uno che mantiene le promesse. Sull’aereo che lo riportava a casa dopo i tre giorni passati tra Giordania, Palestina e Israele, in quella che è ormai diventata l’abituale conferenza stampa ad alta quota, aveva spiegato con chiarezza il suo pensiero. “In Argentina ai privilegiati noi diciamo: questo è un figlio di papà. In questo problema non ci saranno figli di papà”. Bergoglio si riferiva ai casi di sacerdoti, religiosi o vescovi coinvolti in abusi su minori. Sto parlando del caso Wesolowski, del primo prelato finito in gattabuia entro le mura leonine dalla dissoluzione dello stato pontificio. Il reato di cui si è macchiato è noto, ed è tra i più odiosi. Pedofilia. Esercitata quando ricopriva l’incarico di Nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana. 



Pare che l’ex (grazie a Francesco e al diritto canonico) arcivescovo fosse avvezzo ad adescare ragazzini sulle spiagge, ad offrire loro denaro in cambio di prestazioni sessuali. Insomma uno che, al netto di mitria, anello e croce pettorale, sarebbe comunque da togliere dalla circolazione. Tanto più se crea “scandalo” al mondo e alla Chiesa che lo ha cresciuto, ordinato, consacrato. Così ha fatto Francesco. 



Poche righe sulla sua persona: polacco, 66 anni, già dal 1972 sacerdote per mano nientemeno che dell’arcivescovo di Cracovia, futuro Giovanni Paolo II, avviato giovane alla carriera diplomatica, nunzio in Bolivia, Kazakhstan, Tadjikistan, Kyrgyzstan e Uzbekistan. Per approdare infine nel paese caraibico dove avvennero i fattacci accertati. La cosa buona è che a rendersi conto di ciò che stava accadendo, e a mettere subito in moto la giustizia vaticana, fu l’arcivescovo di Santo Domingo, il cardinale Nicolas Lopez Rodriguez. Segno che alcune lezioni la Chiesa le ha metabolizzate, e l’omissione o l’omertà, soprattutto su vicende di questo genere, non sono più contemplate. 



Fatto sta che già nell’agosto del 2013, Jozef Wesolowski era stato richiamato a Roma, sollevato dall’incarico, sottoposto ad indagine e infine a processo canonico. Dichiarato colpevole, il 26 giugno scorso la Congregazione della Fede aveva decretato per lui la riduzione allo stato laicale. Perdita dell’immunità diplomatica e obbligo di residenza in un convento romano. Ieri poi la svolta: il Promotore di giustizia del Tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano, Gian Piero Milano, convoca l’ex nunzio, a carico del quale aveva avviato un’indagine penale, gli notifica i capi di imputazione a suo carico e gli comunica il provvedimento cautelativo degli arresti domiciliari. Potrebbe esserci il rischio di fuga ed inquinamento delle prove. 

Ora Wesolowski ha passato la sua seconda notte nei locali del Collegio dei Penitenzieri, nel Palazzo del Tribunale Vaticano (certo meglio di una galera dominicana), ha già un avvocato d’ufficio, e attende il nuovo processo penale per “abusi sessuali su minori e possesso di materiale pedopornografico”. 

Rischia da 6 ai 7 anni di carcere più le aggravanti. L’aula di tribunale in cui verrà giudicato è la stessa in cui è andato in scena il processo a Paolo Gabriele, il “corvo” di Vatileaks. 

Come giudicare tutto questo? Con sollievo e serenità. Finalmente il lungo e doloroso lavoro di Benedetto XVI, quello che forse gli è costato il papato spingendolo a dare le dimissioni per evidente fiacchezza, è arrivato ad un compimento visibile. Perché dietro la “tolleranza zero” di Bergoglio, è evidente, c’è il travaglio di Ratzinger, la sua continua e ostinata lotta alla “sporcizia della Chiesa”, i ripetuti “mea culpa” caricati come croci, il paziente e meticoloso lavoro di indagine, le riforme e i provvedimenti per rendere sempre più rigorosa la lotta alla pedofilia, i tanti, sofferti, incontri con le vittime in ogni angolo del mondo, stazioni obbligate per purificare una comunità ferita dai peccati di pochi. 

Credo che nessuno oggi possa esultare o provare soddisfazione per quanto è stato deciso su Wesolowski, ma si può avere la certezza di essere sulla strada giusta, di aver finalmente capito come si devono affrontare vicende come queste. Con rigore e determinazione, trasparenza e severità. E una vigilanza costante. Quella che esercita Francesco, continuamente al corrente di ciò che accade nelle sacre stanze e nelle periferie della Chiesa. Rimane lo scandalo di un ex arcivescovo arrestato dai gendarmi vaticani. Ed è la parte più terribile. Ma non è una muscolosa prova di forza, solo un atto dovuto verso chi ha violato dei bambini. Un atto che non esclude la Misericordia. 

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