La situazione del caso Marino è stata descritta con esemplare lucidità da Rino Formica, quando ha risposto ad alcune domande. che gli ha posto il sussidiario. Che cosa ha detto Formica? Con grande lucidità, l’ex ministro della “prima repubblica” ha elencato alcuni fatti: “Il caso Roma condensa la crisi dello Stato italiano di quest’ultimo ventennio”. E ancora: “Tutte le vicende della capitale sono ormai il sottoprodotto di una crisi che la investe da venti anni”. Infine: “Roma ha perso il potere delle sue istituzioni democratiche che si sono affievolite, svuotate e delegittimate. A esserne colpite sono state le grandi istituzioni rappresentative della Repubblica parlamentare democratica”.
Forse Formica esagera quando descrive lo scontro tra il sindaco di Roma Ignazio Marino e il Pd come un “lampo di ridicolo”. In questo caso siamo nel grottesco puro.
Il contenzioso tra Marino e il “suo” Partito democratico non ha più soluzioni indolori. La situazione si è incancrenita e tutta la vicenda è stata gestita politicamente “con i piedi”, per usare un eufemismo, dal gruppo dirigente del Pd capitolino, ma anche da quello nazionale. Non sarà decisiva solo questa settimana per il “caso Roma”.
C’è chi parla, con precauzione ma con insistenza, di un tentativo di allungare i tempi per le prossime elezioni comunali, andando magari al voto nel 2017. Qualche scusa, forse, si può inventare: il Giubileo alle porte e lo stato di indebitamento e di autentico degrado della capitale. Forse un lungo commissariamento è visto con più favore dell’elezione di un “city-manager” o di una qualche figura “sopra le parti”. Si può ricordare ad esempio che Annamaria Cancellieri è stata commissario prefettizio a Bologna dal 17 febbraio 2010 al 24 maggio 2011. Ha sfiorato l’anno e mezzo di commissariamento. Sono solo ipotesi che si ascoltano nei corridoi, ma che è giusto riportare.
Certo, non vi è dubbio che una soluzione di questo tipo porterebbe a un indebolimento ulteriore delle istituzioni democratiche di Roma e di tutto il Paese. E il fatto si trasformerebbe in un grande rischio per il Paese nel suo complesso. C’è tuttavia chi fa notare che l’attuale andazzo di contrapposizione tra Marino e il Pd sarebbe un rischio peggiore per il futuro del Pd non solo a Roma, ma anche per il governo di Matteo Renzi. Il che aprirebbe una crisi grave.
Nella manifestazione di domenica in piazza del Capidoglio, Ignazio Marino ha sfoderato tutto il suo schematismo politico di sinistra. Ha concluso con “Siamo realisti, chiediamo l’impossibile”. La citazione di Che Guevara può galvanizzare i supporter della piazza, ma deve essere stata digerita male anche dagli “improvvisati” riformisti del Pd di questi anni. Il vecchio Giorgio Amendola, il leader storico riformista che battagliava solitario e in minoranza nel vecchio Pci, quando parlava di Guevara lo definiva uno “stratega da farmacia”.
Probabilmente Marino queste cose neppure le conosce. E’ più interessato alla sua affermazione personale, a fare il sindaco fino al 2023. quindi ad andare diritto allo scontro anche con la maggioranza che lo sostiene e con il partito a cui appartiene, quando risponde alla sua piazza “Non vi deluderò”, ripensando alle dimissioni che gli hanno quasi estorto i “duri” del Pd l’8 ottobre scorso.
Inutile girare intorno al problema, nel momento in cui il sindaco promette battaglia e la piazza contrappone Marino a tutti gli altri nel “cartello” di Mafia capitale. Alla fine si deve passare attraverso una sfiducia in Consiglio comunale che non sarà edificante per gli strateghi del Pd.
E qui occorre ripensare a come un partito, che si definisce l’ultimo partito esistente in Italia, possa aver puntato su Marino a sindaco della capitale. E’ un autentico “rosario di errori”.
Ignazio Marino sarà senz’altro medico e chirurgo di fama, con referenze di primo piano negli Stati Uniti e nel mondo, ma la sua popolarità è arrivata anche dal caso di Eluana Englaro, quando si fece promotore di un disegno di legge sul testamento biologico e si schiero con il padre di Eluana, per staccare la spina alla ragazza che viveva in cosiddetto “stato vegetativo”. Forse è proprio per quella presa di posizione, per quell’improvvisa salita alla ribalta politica e mediatica, che Marino trova gli sponsor per la sua canonizzazione a candidato sindaco della capitale in Goffredo Bettini e in Matteo Orfini. La scelta, a Roma, non è indolore, perché quella candidatura pare un dispetto ad alcuni ambienti del Pd, ma soprattutto al cardinale Ratzinger, a Papa Benedetto XVI. Ed è, in fondo, un primo incidente con il Vaticano. Ma è soltanto il primo incidente. Perché Marino, una volta eletto sindaco e nonostante venga fuori tutto quello che si nasconde nelle stanze dell’amministrazione romana, tra i Buzzi e i Carminati vari, continua per la sua strada e comunica, quasi con aria di sfida, al segretario di Papa Francesco, che comincerà a celebrare i matrimoni gay. La risposta del segretario del cardinal Bergoglio è piuttosto seccata (eufemismo) ed è per questo che durante il Sinodo il Papa cita l’episodio e ringrazia pubblicamente il suo segretario. Durante tutto questo periodo di comunicazioni, Ignazio Marino si presenta a Filadelfia per seguire il viaggio del Papa e ottenere la replica secca dal Pontefice: non ho invitato Marino. Con un commento, ci si scusi il bisticcio di parole, persino troppo chiaro. Dice infatti il Papa, su un aereo in una conversazione improvvisata con i giornalisti, e con un tono di voce più alto, “Chiaro?”.
Insomma, Ignazio Marino può mettersi le mostrine al bavero della giacca o appuntarle sul suo maglione, per aver fatto andare fuori dai gangheri due Papi: il primo mentre si preparava a studiare da sindaco, e il secondo da primo cittadino proprio nella città dove vive il Vicario di Pietro. E’ un'”onorificenza” che non ha ottenuto nemmeno il massone Ernesto Nathan, sindaco di Roma dal 1907 al 1913.
Il minimo che si possa pensare è che Ignazio Marino possa riuscire a riaprire la “questione romana”.
Il “problema Marino”, il “caso Marino” è quindi più complesso di quanto si possa credere. E il Pd se lo trova proprio in casa, quasi addosso. Nel Partito democratico si vorrebbe che Marino togliesse il disturbo, non ripensando alle dimissioni date e confermando anche le dimissioni dei 19 consiglieri. C’è qualche insicurezza, ma non dovrebbero esserci sorprese.
Ci sono però degli imprevisti. Andando a elezioni, in questo clima di contrapposizione, il Movimento 5 Stelle rischia di diventare il primo partito della città. Poi ci sarebbe un Pd indebolito da un’inevitabile “lista Marino”, che secondo alcuni arriverebbe a toccare il 10 percento. C’è pure un’altra versione, che vedrebbe Marino, ancora nel Pd, partecipare alle primarie.
Come si vede, l’elemento principale che emerge da tutto questo scenario è la confusione. E la questione non finisce qui, perché si parla pure di un gioco complesso dei pentastellati. Se da un lato alcuni di loro dichiarano di essere disposti a dimettersi dal Consiglio comunale con i colleghi del Pd, ci sono altri che non avrebbero una grande fretta di andare a votare. Perché? Immaginatevi che cosa significa governare Roma un paio di anni prima delle politiche a cui Grillo e Casaleggio puntano come il grande mutamento dell’Italia. Forse è per questo che i popolarissimi Di Battista e Di Maio si defilano gonfiando il petto per “terminare il loro mandato”, secondo statuto del M5s.
Aggiungiamo a tutto questo il possibile posizionamento di Alfio Marchini: può stare nel centrosinistra, ma anche nel centrodestra. E’ un rebus.
In conclusione, come appare oggi il caso Roma, dopo il caso Marino? Un puzzle infernale dove si gioca una parte importante della tenuta democratica di questo Paese.