Urbi et Orbi, alla Città e al Mondo. Non è una benedizione come le altre quella che il giorno di Natale — così come in quello di Pasqua e in altre occasioni particolari — il Papa impartirà ai fedeli da piazza San Pietro. La formula di benedizione, infatti, prevede per coloro che la ascolteranno, in diretta o attraverso la mediazione della tecnologia, l’assoluzione e l’indulgenza. Parole forti, e forse un po’ démodé, per una corpo ecclesiale che negli ultimi decenni ha sempre trattato l’azione del Divino nella storia con sguardo sospettoso, ironico, al limite dell’irriverenza. L’assoluzione è l’incarnazione della facoltà che Cristo ha dato alla Chiesa di “guarire le ferite” in presenza di un atto di dolore autentico o, comunque, intenzionale.



L’indulgenza, così mi ritrovo sovente a spiegarla ai bambini del catechismo, agisce invece sulle cicatrici che le nostre ferite sanate ci lasciano addosso. Grazie all’indulgenza le cicatrici si sfumano, scompaiono, e il nostro volto torna ad essere veramente umano. 

Il fatto che in alcuni giorni dell’anno il Signore attraverso il Papa doni alla Chiesa tutta un gesto di questa portata è commovente, perché indica quante volte abbiamo bisogno di essere guariti e ripuliti, quante volte il nostro cuore ha realmente necessità della Mano di Dio che, misericordiosamente, si stenda anche laddove l’uomo non sembra essere in grado di arrivare. Se noi portiamo la nostra vita dinanzi a Dio, Egli può amarla in un modo così totale e definitivo da renderla nuova. Per questo assume senso e valore il gesto della Confessione: con essa noi portiamo la nostra storia nella Grande Storia di Dio e partecipiamo così del Suo amore e della Sua stessa redenzione.



Le parole cristiane sono oggi poco comprese e guardate con sospetto. La stessa indicazione “alla Città (Roma) e al Mondo” non esprime solo delle coordinate geografiche, ma soprattutto umane e spirituali. La città, nell’Antico Testamento, era figura della persona, di quello che il novecento chiamerebbe “io”, mentre il mondo — soprattutto nel Vangelo di Giovanni — esprime un modo di pensare, uno sguardo “mondano” davanti alle cose. La benedizione del Papa guarisce e purifica il nostro io, il nostro cuore, e il nostro sguardo, il modo malato che abbiamo di concepire e di guardare la realtà. Essa ci ricrea e ci dispone a ricevere la Grazia del giorno santo in cui viene amministrata. Così l’Urbi et Orbi di Natale ci prepara ad accogliere la visita di Dio, curando le nostre ferite e sanando le cicatrici, anche quelle più antiche. Perché Dio potrebbe benissimo passare a trovarci e scoprire che in quella casa — la nostra casa — non c’è alcun cuore realmente pronto ad attenderlo.



Per questo motivo la formula di benedizione prevede l’intercessione degli apostoli, dei martiri, dei santi e di Maria: perché il nostro cuore possa, giorno dopo giorno, assomigliare sempre di più al loro cuore nella libertà e nella disponibilità a Dio. Il segreto di una Grazia, infatti, non sta nella forza con cui La si chiede, ma nella docilità con cui La si accoglie. Proprio come fece Maria, quella notte, nella stalla di Betlemme. La notte in cui cominciò a guarire il cuore dell’uomo, ricominciò a camminare il nostro piccolo e fragile io. Verso una Benedizione, verso l’incontro con quell’Amore che rende lieto il nostro cuore e la nostra fragile — eppure sempre presente — giovinezza.