Era irrituale il silenzio in piazza San Pietro durante l’udienza generale. Lo aveva chiesto Papa Francesco: un minuto per ricordare nel cuore i propri figli e i propri genitori. Pochi istanti sugellati da una benedizione. Bergoglio continua nelle sue catechesi ad esplorare la paternità, ad indagare le relazioni tra generazioni, ad analizzare interni familiari. E offre spaccati di vita personale, racconti che illuminano di saggezza popolare una materia diventata pane per sociologi e disfattisti. Ieri ha ricordato la mamma, donna con cinque figli, quanti le dita di una mano.



Una donna che non riusciva ad amarne uno meno dell’altro, a non soffrire per ciascuno dei ragazzi che aveva messo al mondo. Jorge ha mimato la signora Bergoglio che rispondeva mostrando le dita e facendo vedere che ognuno era differente dall’altro, ma che tutti appartenevano a lei. Una mamma giusta, incapace d’elezione, convinta che un figlio lo si ama perché figlio, e non perché bello, intelligente o somigliante. Un amore a cui guardare oggi che le mamme-tigri imperano e l’unicità e irripetibilità della persona viene sempre più evocata per giustificare la scelta egoistica del “figlio unico”. 



Il Papa insiste nel proporre la bellezza della generazione, la fecondità come compimento della coppia, la paternità come vocazione. L’immagine che ha composto ieri all’inizio della sua riflessione era quella di Isaia (60,4-5a), il profeta che annunciava “I tuoi figli si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il cuore”. Un quadro di splendida felicità, il ricongiungimento di generazioni che camminano insieme verso un futuro di libertà e di pace, dopo tempi di privazioni. 



L’epica del popolo ebraico si sovrappone alla realtà odierna, il legame tra “la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni” proposta da Francesco è la strada valida per rianimare società asfittiche, lacerate da ferite spesso nate dalla conflittualità tra padri e figli. Non è un caso che siamo ancora qui a rimuginare sul ’68 e dintorni, inondati da pubblicazioni sull’autorità e la paternità da reduci e storici strozzati dai sensi di colpa o da complessi irrisolti. Ciò che invece illumina Francesco è qualcosa di molto più naturale e semplice: la percezione che ogni figlio è un miracolo. Non solo un dono, un regalo, “la speranza di un amore che ha realizzato se stesso proprio accendendo la vita di un altro essere umano originale e nuovo”. Il Papa parte dall’esperienza che per ogni madre, ogni padre, ogni genitore il figlio è amato in quanto “generato”. 

La profondità dell’esperienza umana dell’essere figlio, poi, permette di scoprire la dimensione della gratuità. Ciò che stupisce, spiega Francesco, è la consapevolezza di essere amati prima e per primi. E ancora ha fatto riferimento durante la catechesi alla fenomenologia dell’amore: “Quante volte trovo le mamme in piazza che mi fanno vedere la pancia e mi chiedono la benedizione….questi bimbi sono amati prima di venire al mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono amati prima della nascita, come l’amore di Dio che ci ama sempre prima”. Lo aveva già accennato alle famiglie riunite nel Mall of Asia Arena di Manila. Ricordate? Essere figli è la condizione essenziale per conoscere l’amore di Dio.  E proprio al Padre Celeste bisogna fare riferimento per capire come gestire il rapporto tra generazioni. Cosa fa Dio? Lascia liberi, ma mai soli. Così i genitori devono imparare dal Signore ad educare i proprio figli: non fare mai passi indietro nell’amore, ma non abbandonare mai il campo. Stare accanto con discrezione e attenzione, pronti a raccogliere dopo la caduta, ad asciugare lacrime e abbracciare, incoraggiare e sostenere. 

E i figli? Per Bergoglio hanno il compito immenso di costruire un mondo nuovo e di onorare i proprio genitori. Comandamento importante il quarto, passato di moda con la follia dell’emancipazione dei minori. Se non vogliamo società di giovani “aridi e avidi” bisogna riscoprire “l’onora il padre e la madre” insieme a ciò che di sacro contiene. Perché il punto è tutto lì, la scintilla di divino che passa di generazione in generazione, nel momento in cui lo spermatozoo feconda l’ovulo. Un fatto biologico che assume una valenza trascendentale e che crea quella bellezza che incanta il Papa quando passa in mezzo alle folle: “vedo i papà e le mamme che alzano i loro figli – ha detto ieri – per essere benedetti; questo è un gesto divino. Grazie perché lo fate!” 

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