Il Figlio di Dio è stato Bambino. E’ tutta qui la grandezza del Cristianesimo. Ed è tutta qui la bellezza dell’infanzia. Quando si contempla un bambino ci si riempie di vita, di allegria e di speranza. Per questo sono un dono. Senza bambini si è più tristi. Eppure ci sono ristoranti dove, come gli animali, non sono ammessi. Altri dove vengono addirittura dopo i cani. Per non parlare di certi mezzi pubblici o dei taxi. Perché i bambini portano anche guai: sono imprevedibili e semplici, non conoscono ancora le regole del vivere civile, né la masturbazione del politicamente corretto. Conservano una purezza e una semplicità interiore che disarma e inquieta chi è abituato ad attorcigliare il cervello su questioni sociali. Sono i bambini a gridare al “re nudo” e sono sempre loro che ci restituiscono una delle qualità più importanti in questo mondo spietato: la tenerezza. Eppure negli ultimi tempi abbiamo visto l’orrore di piccoli fatti saltare in aria come pupazzi, imbottiti di tritolo, altri insaccati in divise verdi a giocare con mitra e fucili micidiali, capaci di guardare negli occhi un uomo e sparargli in faccia. E’ lo scippo più crudele: non togliere l’innocenza, ma usarla. Svuotare il bambino ci ciò che in lui è sacro, l’istintuale fiducia nell’adulto e la naturale propensione per la verità.
Ieri il Papa ne ha parlato durante la catechesi del mercoledì: nel suo ciclo sulla famiglia toccava ai bambini, “grande dono” per l’umanità ma anche grandi “esclusi”. E’ vero, ora non li lasciano neppure nascere o se lo fanno, li progettano secondo criteri genetici, non carne viva, ma prodotti di laboratorio, “sintetici” come qualcuno giustamente ha denunciato nei giorni scorsi. Eppure quando vengono al mondo, quale che sia il loro patrimonio genetico o l’utero che li ha custoditi, sono “dono”, “mistero”, oggettività di vita da custodire e preservare. Perché al di là della violenza che si può esercitare prima o dopo la nascita di un essere umano, il fatto che “c’è” supera ogni giudizio e viene prima di ogni considerazione. Poi ci pensano loro, i bambini, con le domande che mettono in crisi, sul perché della Luna e del Sole, su chi è Dio e il diavolo, a farci sorridere e pensare.
I miei nipotini lo hanno sempre fatto, tendendomi i tranelli sulle moschee (mi interrogavano se fossero le case delle mosche per verificare le mie competenze interreligiose), chiedendomi di dimostrare perché Dio è infinito oppure spiegandomi che Gesù è sempre giallo come la luce, e tale va colorato, mentre il diavolo è nero, come l’inferno, e non basta il pastello nero per disegnarlo.
Per i bambini la realtà è più semplice, non conoscono le complicazioni che arrivano con la crescita ipertrofica dell’Io e vivono nella continua percezione della loro dipendenza. Sanno che senza papà e mamma non sono nulla. E questo – come ha ricordato il Papa – “ci riporta sempre al fatto che la vita non ce la siamo data ma l’abbiamo ricevuta”. A volte ce ne dimentichiamo ma è liberante e gioioso il riconoscimento che “in ogni età, in ogni situazione, in ogni condizione sociale, siamo e rimaniamo sempre figli”. Un’altra cosa il Papa ha ricordato dei bambini: non conoscono “la scienza della doppiezza”, non hanno il cuore “incrostato”. I loro peccati, i piccoli egoismi, non oscurano quella tendenza a dire, sentire, vedere senza filtri, con cuore “sbloccato”. Hanno conservato intatta la capacità di sorridere e piangere. Ciò che forse il mondo degli adulti deve reimparare a fare. Non il pianto capriccioso e snervante del piccolo che si vede negato nell’esigenza costante di attenzione, ma quello immediato di fronte al male o al bene.
Perché mai dimenticherò le lacrime del mio nipotino Tommaso, dopo che per due settimane non aveva visto la mamma. Non aveva pianto durante l’assenza, ma solo rivedendola. Avvertiva il dolore della mancanza nel momento della presenza. Non siamo anche noi così? Non è più struggente la nostalgia di Cristo nell’istante in cui siamo a lui più presenti? Reimpariamo, come suggerisce Bergoglio, a piangere, torniamo bambini come invita il Vangelo, per recuperare lo stupore di fronte alla Grazia e le lacrime del cuore.