“Permesso, Grazie, Scusa”. La ricetta per vivere bene in famiglia secondo Papa Francesco. Non nuova, anzi persino reiterata. Medicina difficile da ingoiare per un popolo sempre più brutale. Anzi quasi animalesco nelle relazioni, di qualsiasi genere e colore. E’ inutile girarci intorno siamo delle bestie: ormai la gentilezza è roba da specie protetta dal WWF. Talmente rara che quando la incontriamo accanto alla sorpresa si allinea persino il sospetto. Stupisce che qualcuno di sconosciuto mostri delicatezza verso il nostro essere, mentre lascia sconcertati che un familiare stretto usi addirittura l’alfabeto. Non so voi ma nella mia famiglia, dopo giornate piene di tutto e di niente, i miei nipoti mugugnano a stento un “Uh” quando entrano in casa, tra amici ci apostrofiamo in modo ignobile e spesso il “Permesso” lo dedichiamo solo alla vicina quando mendichiamo una cipolla o il prezzemolo e ci affacciamo sull’uscio di casa. Insomma non è che manchi la “buona educazione” ma è diventato usuale trattare chi ci è più caro come neanche il nostro cane. Quasi che il far cadere certe parole rituali, “Permesso, Scusa, Grazie”, fosse una modalità spicciola di bene acquisito. Una formalità inutile e soprattutto faticosa. Uno spreco di tempo e di fiato da destinare a ben altri rapporti.
L’intimità, secondo questo disegno, genera imbarbarimento. “Siamo legati”, dal sangue, da un contratto, da un sacramento, dal sesso non abbiamo bisogno di dire ” mi dispiace” oppure “perdonami”, né di usare il bon ton o il balletto delle parole. Tesi assurda, figlia di qualche fraintendimento romantico e di una stortura antropologica. Non si tratta solo di “buona educazione”, di “formalismo”, ma di “finezza” nel voler bene.
A spiegarlo con una quantità adeguata di esempi e concetti, Papa Francesco, ieri, durante la catechesi dedicata appunto alle tre paroline magiche. Ha spiegato il valore autentico di una “educazione” buona, sottolineando che nasce dall’amore del bene, ed è radicata nel rispetto dell’altro. Ma soprattutto ha ricordato che “entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo”. Più la persona mi è vicina, più devo puntellare il presidio della fiducia e del rispetto. La confidenza non autorizza a dare tutto per scontato. E’ sempre Francesco che lo afferma, aggiungendo che quanto è più intimo e profondo l’amore, “tanto più esige il rispetto delle libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore”.
Ancora una volta il Vangelo viene in aiuto. Persino il Signore chiede il permesso per entrare, nel capitolo 3 dell’Apocalisse. “Ecco, io sto alla porta e busso“. A guardare Gesù non si sbaglia mai. Bergoglio lo sa bene e insiste sul linguaggio “ben educato” ma soprattutto pieno di amore. Cattive maniere e cattive parole si sono imposte come segno di emancipazione, ma oggi la vera provocazione, è riuscire a dire “grazie”, ripulendo il vocabolo da ogni ironia.
Ai nostri figli dobbiamo insegnare la “gratitudine”, la “riconoscenza” per far sì che una volta adulti sappiano riconoscere la dignità dell’altro. Per il Papa la giustizia sociale passa anche attraverso parole semplici e logorate come “Permesso, Scusa, Grazie”. Un avvertimento laico che esibisce tutta la sua forza semplicemente dando un’occhiata allo stato penoso in cui versano certe istituzioni (vedi Parlamento) date in pasto alla volgarità e alla “maleducazione”. Ma anche un suggerimento per il credente che – ed è sempre il Papa a dirlo – “se non sa ringraziare” ha dimenticato la “lingua di Dio”. Non è solo questione di nobiltà d’animo, si tratta di Grazia. Ed è proprio la parola più importante “Scusa” che lo dimostra, la parola che nasce dalla coscienza della propria mancanza, dal desiderio di restituire ciò che si è tolto in rispetto, sincerità e amore. Papa Francesco ripete con insistenza che nella casa in cui non si chiede scusa “incomincia a mancare l’aria” e che le ferite e le lacerazioni nascono proprio dalla perdita della capacita di dire “mi dispiace”. Di riconoscersi peccatori. Il Papa sa cosa occorre per fare pace dopo una lite in famiglia. Una parola e un gesto. “Scusa” e una carezza. Semplice no?