Poi dicono l’Iraq. Quel che è successo mercoledì sera in un quartiere di Roma non è solamente un fatto di cronaca nera. Un kamikaze fanatico avrebbe mirato allo stesso obiettivo: nove morti potenziali. Grazie a Dio, temiamo “per ora”, una vittima e otto feriti gravi. Alle 8 di sera, capolinea della metropolitana, quando il fiume di gente che torna stanca dal lavoro s’ingrossa. L’auto assassina (non impazzita, ma criminale) inseguita dalla volante sfreccia ai 180 all’ora in quell’alveo incurante delle urla, del sangue, dei fantocci che ricadono sul cofano. Corsa folle, si direbbe, in una zona popolosa e popolare, impossibile nascondersi. E invece no, perché Roma è senza governo e senza controllo e chiunque può sperare di farla franca, di infrattarsi in qualche “villa”— discarica o accampamento abusivo — e confondersi con la delinquenza abituale.
Per questo la tragedia di Boccea trascende la cronaca e diventa un caso politico: tocca alla politica rispondere al sentimento di impotenza, all’insicurezza, alla paura, all’abbandono, al degrado di una capitale che ne ha viste tante, ed è dura scovare nei romani un buon ricordo di qualche amministratore. Ma tutti, a parte i capataz con qualche tessera da far valere, concordano su una città allo sbando, mal governata, sporca, impresentabile, alla faccia del Giubileo e dei soldi richiesti di conseguenza.
Il presidente del Consiglio e segretario del partito di maggioranza ci spieghi la ratio di tenere in piedi questo sindaco inadempiente e presuntuoso se non per occupare un posto di potere. Ci sono decisioni che varrebbero più voti di un comparsata in tv. Chieda conto a Marino, occupato in qualche cerimonia o convegno oltreoceano, se non sarebbe il caso di fiondarsi nella sua città, almeno per fare le condoglianze di persona ai familiari delle vittime, per confortare una popolazione scioccata dalle immagini cruente, da scenario di guerra, in una strada cittadina. C’erano dei bambini a vedere la testa fracassata di una povera donna filippina che aveva appena terminato di svolgere il suo lavoro di badante.
I poveri, caro sindaco, non sono da sventolare davanti ai prelati vaticani o una tantum alle mense della Caritas. Anche tanti suoi cittadini sono poveri, e una vita degna la meriterebbero anche loro. Venga con dignità ad affrontare anche gli insulti. Perché è lui a menarla sempre con l’integrazione, è lui che ha chiesto di modificare il linguaggio in Municipio, perché in quell’aula mai più risuoni la parola “zingari”. Se cambia la parola, non cambia quel che definisce: zingari o rom, si tratta di uomini e donne ai margini che scelgono l’illegalità, la non integrazione, la piccola e grande delinquenza.
Bisognerà pur dirlo: non è razzismo dire che non fa pena chi sfrutta i bambini, i disabili, chi pretende senza lavorare. Non raderei al suolo i campi rom, è un’espressione che evoca orrori della storia. Ma non vorrei che ci fossero campi rom, questo sì, e non sono affatto sicura che gli accampati desiderino la stessa cosa.
Che i due assassini che hanno compiuto una strage, è questa la parola da usare, siano minorenni, ci sconvolge e terrorizza. Che educazione avranno mai avuto. Che desideri, che cuore. Non si ripeta il ritornello usato da certa sinistra pariolina: “che possibilità gli abbiamo offerto?” La scuola la offriamo, l’amicizia di tanti volontari, la corrente elettrica e l’acqua. Se manca tantissimo, non è colpa della gente costretta a subire le loro prepotenti angherie. Se manca un condizione di vita più dignitosa, è un problema della politica, non della gente, che il modo di guadagnarsi il pane lo trova senza rubare o esibire sporchi al freddo i bambini, senza scegliere la rapina non come necessità estrema, ma come modus vivendi.
Sì, il caso è politico, ed è ignobile strumentalizzarlo per raccattare indignazione da porre al servizio di un partito; ma anche minimizzarlo ha lo stesso scopo, per non addossare la perdita dei consensi a un partito. L’attacco ai messaggi e alle scritte razziste è come i messaggi e le scritte razziste. Ignobile. Gli uni marciano sulla tragedia. Gli altri pure, cara giunta comunale, cari soloni e intellettuali e politici integerrimi garanti del diritto e delle libertà: basta spacciarci per diversità culturale e ricchezza di tradizioni l’illegalità; basta demagogia sui reietti, quando i cittadini reietti non li considerate mai. E’ facile scandalizzarsi di fronte alla rabbia, stigmatizzare “la trappola del razzismo”. La rabbia è sempre ingiusta, parziale, faziosa. Facile invocare equilibrio e compostezza nelle vostre case sicure e comode, nei vostri palazzi che raggiungete serenamente in bici, scortati dalle forze dell’ordine.
Affrontatela, la rabbia. Se credete che i campi rom siano isole di tradizione da preservare, rendeteli umani, pretendete che i minori studino, che le attività lavorative vengano controllate (può un ragazzo di 17 anni avere a disposizione 24 macchine? Questa è miseria?) che sia mantenuta la pulizia e il decoro, che i bambini facciano i bambini e che le donne vengano rispettate, che i poliziotti che vanno a fare controlli non siano massacrati a furia di botte. Invece di scrivere e parlare in tv, o fare mostra della vostra rispettabilità alle agenzie, andateci nei campi rom, coi vostri soldi, con le vostre mani, datevi da fare. Il papa apre le docce per i barboni sotto il colonnato del Bernini. E voi che fate?