Se siete sposi, se siete catechisti, preti, giornalisti, sociologi, se siete figli o padri e madri, se siete giovani o vecchi, se in qualche modo vi interessate o vivete l’argomento “matrimonio”, oggi c’è una novità. Nell’udienza del mercoledì di Papa Francesco, la seconda sul matrimonio, si parla di matrimonio ma non del “modello famiglia”. Non di diritti, doveri, crisi, aiuto, sostegno, cura. Lui ci parla di bellezza, mistero, dignità impensabile.



Tutto al positivo. Parla di un disegno di Dio – il matrimonio – che molte coppie hanno saputo colorare bene, rimanendo nei bordi, riempiendolo di colori brillanti e pieni. Come quando eravamo bambini e riempivamo quegli album pieni di disegni, e alcuni venivano proprio bene. Ecco, il Papa parla agli sposi facendo loro gli auguri, dicendo loro bravi, contemplandoli. Forse lo fa perché, per sentirci buoni, abbiamo bisogno di uno sguardo buono, abbiamo bisogno che qualcuno ci dica “belli” per sentirci belli. Comunque il Papa lo fa.



Non fa solo teologia quando cita san Paolo e l’analogia tra marito-moglie e Cristo-Chiesa: dice che non è solo teologia ma è il nome sulla targhetta di tanti appartamenti con mutuo trentennale. Quelle parole arrivano proprio da te, nella casa in cui abiti con tuo marito, con tua moglie. Dicono che è una nuova comunità, è Chiesa. C’è, dietro quella targhetta, un senso spirituale altissimo e rivoluzionario: e lo stai facendo tu, voi due, una carne sola. È uscire dal “siamo tutti in crisi”, è passare al “siamo tutti qui”, al – con la grazia di Cristo – innumerevoli coppie cristiane, pur con i loro limiti, i loro peccati realizzano proprio tutto questo. Nonostante oggi un marito abbia ucciso la moglie – non è il primo e non sarà l’ultimo – oggi, proprio oggi, il Papa ci parla di una moglie da amare come il proprio corpo, come fa Cristo con la Chiesa.



È la teologia di sempre ma detta oggi è la finestra aperta che cambia l’aria alla casa. Solo la bellezza ci attrae. Non ci attrae nient’altro. Però, per lasciarsi attrarre, ci vuole coraggio. Non lo avevo mai tematizzato così nella catechesi parrocchiale, nelle chiacchiere tra amici. Coraggio. Il Papa oggi dice che per amare ci vogliono un uomo e una donna con il cuore pieno di coraggio. Per dire “ti amo” ci vuole l’amore, per dire “ti sposo” ci vuole il coraggio. Se ce l’hai, questo è il matrimonio. “Un grande atto di fede e di amore: testimonia il coraggio di credere alla bellezza dell’atto creatore di Dio e di vivere quell’amore che spinge ad andare sempre oltre, oltre sé stessi e anche oltre la stessa famiglia”.

Vale la pena ricordarsele queste parole: coraggio e “andare sempre oltre”. Oltre quella notte ad occhi aperti che dice non ce la faccio più. Oltre quello sguardo spento che ti guarda ma non ti vede più. Oltre quello che sei e che siamo perché non siamo noi due da soli ma noi tre in una sola carne e allora ci vuole un “oltre” da vedere e da sperare quando non lo vedi più. Gli sposi come testimoni, “tramite della benedizione di Dio e della grazia del Signore”.

Testimone e tramite di qualcosa di così grande? Di solito queste parole noi cristiani le riserviamo a chi vive vocazioni “particolari”: i religiosi, i preti, il celibato, quelli “che hanno dato tutto”. Ma ora il Papa dice agli sposi che loro hanno dato tutto in due, doppio. Affascinante. Affascinante perché bello. Bello perché vero. Che bellezza questo Papa. Che dono grande per questa epoca di crisi, anzi no, per questa epoca di uomini.

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