Non apprezzo Ignazio Marino per come gestisce la Capitale, ma non ha senso attribuirgli colpe per la morte del bambino precipitato l’altro giorno nel vano di un ascensore della metro A di Roma. Sembra sia stato un tragico incidente, per di più dovuto alla buona intenzione di liberare al più presto persone intrappolate nel caldo soffocante di una cabina guasta. Perciò, probabilmente, in questo caso i difetti del Comune non c’entrano, come invece sostengono alcuni oppositori. 



Tuttavia la dura contestazione contro Marino e i suoi, immediatamente scoppiata dopo la disgrazia, è significativa di un malessere diffuso. In generale, i sindaci sono esposti, nel bene e nel male: diventano rapidamente simboli (pensiamo a Ernesto Nathan per i radicali) o più facilmente parafulmini. Ancor di più da quando è stata introdotta l’elezione diretta. I tempi del doppio mandato (Darida, Rutelli, Veltroni) sono lontani: è difficile mantenere popolarità in una metropoli in periodi di crisi. Un recente sondaggio Ipr Marketing effettuato per il Sole 24 Ore ha fotografato il consenso dei primi cittadini d’Italia. In testa c’è il sindaco di Firenze, Dario Nardella, succeduto a Matteo Renzi. In ascesa Piero Fassino a Torino. Nella top ten anche Giorgio Gori a Bergamo. Marino sta all’82° posto. Qualche ragione ci sarà… Roma è afflitta da scandali e disservizi, vessata da scelte incomprensibili, rovinata da uno spaventoso degrado urbano. C’è soprattutto una ostinata disattenzione per i problemi concreti delle famiglie con figli. Perciò se la protesta sarebbe legittima, quella a prescindere è nociva. Si rischia di perdere di vista le questioni che contano davvero. 



Ho la sensazione, ma non è sede per parlarne, che qualcosa di analogo sia avvenuto con la discussione sulla “Buona Scuola”. Comunque, la storia è zeppa di esempi: i sessantamila (60mila!) cahiers de doléance non produssero l’effetto rivoluzionario di Qu’est-ce que le tiers état? dell’abate Sieyès. E sono innumerevoli i capri espiatori gettati in pasto alla folla, per non cambiare davvero nulla. Infatti, il sentimento di insoddisfazione generico è insano, perché sterile. Non cambia davvero le cose.

Alla fine il rischio è che le persone si chiudano in quello che hanno, se lo tengano stretto, salvo poi, se possono, allungare le mani dove capita. E contro l’irrazionale indistinto desiderio di farla pagare a qualcuno, specialmente se politico, ecco in nostro soccorso Chesterton, ne L’utopia degli usurai: “rivelerò… un piccolo segreto. Non vi è nulla di sbagliato nella antica e universale idea di Punizione — tranne per il fatto che stiamo punendo le persone sbagliate” (nel nostro caso diremmo: per le cose sbagliate).