Gli aeroporti sono le porte d’entrata di un Paese. Spesso sono proprio delle vetrine. Non è un caso che in tutti i Paesi in via di sviluppo vi siano stati investimenti importanti per migliorare gli scali aeroportuali e dare un’immagine migliore di sé. L’aeroporto di Pechino è stato rifatto per le Olimpiadi 2008 ed è ormai il secondo al mondo per traffico passeggeri con oltre 87 milioni di viaggiatori ed è un’icona dello sviluppo cinese (ormai sconta problemi di congestione). Anche in altri Stati in forte crescita, quali la Malesia, l’aeroporto di Kuala Lumpur è al centro dello sviluppo del Paese, con un terminal nuovissimo, il Klia 2, che non è solo un aeroporto hub per le compagnie low cost, ma è anche un centro commerciale e un nodo d’interscambio con treni e autobus a corta e lunga percorrenza.



In Italia la situazione è tragicamente diversa. Il caso di Milano Malpensa è ormai noto a tutti, con uno scalo in sofferenza dall’abbandono di Alitalia nel 2008 e il traffico che si mantiene ancora a livelli molto inferiori a quelli precedenti il de-hubbing (circa 5 milioni di passeggeri in meno nel 2014 rispetto al 2007). Lo scalo di Roma Fiumicino, l’unico hub rimasto in Italia, che sarebbe dovuto essere il perno di rilancio della nuova partnership Alitalia-Etihad è invece andato incontro a un gravissimo problema di sicurezza.



L’incendio scoppiato il 7 maggio scorso ha di fatto chiuso Terminal 3 e ha messo in seria difficoltà la connessione tra i voli nazionali/europei e i voli intercontinentali. A distanza ormai di tre mesi dal sconcertante evento (per cui si aspetta di capire ancora di chi siano le responsabilità), l’aeroporto rimane parzialmente chiuso. Alcuni voli sono stati spostati a Ciampino, mentre molte compagnie operano ora dal terminal 1 (quello di Alitalia) o dal terminal 2 (low cost).

Come è forse noto ai più, al fine di poter costruire un hub, una compagnia aerea ha bisogno del completo supporto di uno scalo aeroportuale. Senza compagnia aerea non esiste un hub (caso di Malpensa), ma senza uno scalo ben funzionante la compagnia non riuscirà a prendere quote di mercato nella competizione globale del trasporto aereo. È questo il caso di Alitalia-Etihad. 



Il piano industriale prevede una crescita del numero di voli intercontinentali da Roma Fiumicino, con il potenziamento della struttura hub and spoke. Significa “alimentare” lo scalo di Fiumicino con voli a corto raggio, dall’Italia e dall’Europa, per poi riempire i voli a lungo raggio. Un passeggero che da Verona vuole volare verso Seul non troverà un volo diretto, poiché la domanda non è sufficiente per offrire una tratta del genere. Tuttavia può scegliere di andare verso Roma Fiumicino con un volo a corto raggio e, dopo un breve transito, arrivare con un volo diretto nella capitale sudcoreana. Il passeggero può avere altre soluzioni e utilizzare degli aeroporti alternativi, primo tra tutti Francoforte.

Purtroppo a Roma Fiumicino è andato a fuoco lo spazio che collegava il molo dei voli nazionali e continentali con quelli intercontinentali. Non esiste più un controllo passaporto degno di nota, che è stato spostato per i primi mesi dell’emergenza in fondo al “molo B”. Laddove prima c’erano due gate, il B29 e il B30, ora ci sono alcuni uomini in divisa che devono supplire all’emergenza. Uno spazio inadeguato, oltretutto con l’ulteriore limitazione che il servizio di bus di collegamento da questi terminal verso i moli internazionali è inefficiente.

Le code sono eterne e l’insoddisfazione dei passeggeri internazionali è evidente. Si è arrivati fino al paradosso che i controlli fossero fatti in maniera superficiale per cercare di supplire alla perdita di tempo e al rischio di fare perdere le coincidenze ai passeggeri in transito. Una situazione scandalosa arricchita ora del rischio che la Procura potrebbe chiudere addirittura tutto l’aeroporto. Se così fosse, il vecchio scalo delle Olimpiadi di Roma ’60, potrebbe a questo punto subire il colpo di grazia.

Il turismo sarà anche l’oro dell’Italia, ma in queste condizioni le pagliuzze d’oro sono tutte disperse nel fiume dell’inefficienza del primo scalo italiano.