Con la sua iniziativa “#Roma sono io”, che invita a collaborare alla pulizia della città, Alessandro Gassmann ha implicitamente fatto notare che il degrado della Capitale deriva sicuramente dall’inefficienza delle amministrazioni, ma anche dal fatto che alcuni romani sporcano parecchio. Aggiungo che i turisti imparano presto l’impunità e che la città in materia non ha una grande tradizione, se è vero che già Giovenale nel II secolo d.C. avvisava i passanti della capitale dell’impero di fare testamento prima di uscire di casa, per il rischio di venire ammazzati dalle cose gettate dalle finestre (Satira III). 



Il dibattito in corso (ad esempio: io pago le tasse, perché devo pulire il mio marciapiede?) non è francamente di altissimo livello. La vicenda nasce da alcuni articoli del New York Times nei quali si denunciava il degrado romano. Non fosse per il danno che possono generare al turismo (danno ipotetico, perché la gente a Roma ci vuol venire lo stesso: dove trova tanta arte, tanta bellezza, tanta storia?) a quello che dicono gli stranieri di noi non bisogna dar troppo peso. L’umore dei corrispondenti esteri lo conosciamo. I loro commenti sono spesso noiosamente banali. Periodicamente ci hanno esaltato e poi censurato. Un interessante libro di Emilio Gentile (“In Italia ai tempi di Mussolini”), allievo di De Felice all’Università La Sapienza di Roma, ha descritto gli abbagli dei viaggiatori stranieri nella penisola. 



Per stare in tema di mondezza, ecco cose scrive un professore francese su “L’Illustrazione” del gennaio 1928: “Le città sono tenute con cura gelosa, le strade sono spazzate, ben pulite, lucide”. Ed ecco un altro commento: “L’immondizia non è più gettata dalle finestre (ancora l’ossessione del gettito di spazzatura ndr) … a Roma i fascisti hanno eretto centinaia di gabinetti…”. La stessa Italia che durante il biennio rosso faceva schifo con il primo Duce era di nuovo ok, poi pochi anni dopo tornava a fare schifo. 

Al di là di quel che dicono gli stranieri, il problema del degrado esiste e non è solo estetico, ma morale. Ma questione più seria della raccolta dell’immondizia è quella della sua produzione. Generiamo troppi rifiuti. A proposito si è espresso recentemente anche il Papa. Sembra, ad esempio, che si producano nel mondo oltre 300 milioni di tonnellate di plastica all’anno. E la plastica non scompare mai, anzi diventa più insidiosa quando non si vede più, scomponendosi in minuscole particelle che infettano le terre e le acque. Secondo alcuni osservatori, a causa del movimento delle correnti, nell’Oceano Pacifico si è formata negli anni una concentrazione galleggiante di rifiuti di plastica grande due volte l’Italia. Chiamano quest’isola di plastica Pacific Trash Vortex. Occorre però guardarsi dai catastrofismi: ci sono risvolti economici e sociali che impongono di non trattare superficialmente la questione, come talvolta fanno alcuni ecologisti.



Non ci sono soluzioni facili. È vero però che alla base c’è soprattutto una questione culturale. Nel suo “Le città invisibili“, Italo Calvino così descrive la città immaginaria di Leonia: “Più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità”. Leonia ogni mattina rifà completamente se stessa, gettando via il suo passato. Ma, scrive Calvino, il cumulo enorme di spazzatura che ne risulta, incombe ai suoi confini e sempre minaccia di franarle addosso rovinosamente.