Nella magnifica Sansepolcro (un vero museo a cielo aperto a pochi chilometri da Arezzo) si è da poco conclusa la tredicesima edizione del festival “Kilowatt”, manifestazione relativamente giovane ma che si è guadagnata velocemente un posto di assoluto rilievo nel panorama festivaliero nazionale per la capacità di proporre diversi punti di vista sul teatro, la musica e la danza con il contributo di artisti, critici e soprattutto di semplici cittadini, i cosiddetti “Visionari”, appassionati di arti da vivo ma non esperti. Un modo questo di costruire un festival, un progetto ad alta valenza culturale, tanto innovativo quanto unico da far guadagnare (nel 2010) a Kilowatt e dunque al suo ideatore e assoluto Deus ex machina, Luca Ricci, il prestigiosissimo Premio Ubu (il riconoscimento più importante per il teatro in Italia creato nel ’77 da Franco Quadri, forse il maggior critico teatrale italiano contemporaneo).



“L’energia della scena contemporanea” questo recita il sottotitolo del Festival e di energia se ne percepisce veramente molta per le strade e i luoghi storici della città dove c’è un susseguirsi di eventi dalla tarda mattina e fino a notte. E’ l’energia di un teatro che sa interpretare le inquietudini e le contraddizioni della nostra società, è l’energia di quella musica che emoziona profondamente, è l’energia di quella danza che sa mettere in scena desideri, sentimenti, passioni. Tanta energia, dunque, che spesso, e per fortuna, è condita con ironia, buon sarcasmo e un pizzico di disincanto.



Un sentimento di perdita e il desiderio di trovare un punto fermo, nuova stabilità, vengono espressi nell’originalissima e intensa coreografia di Elisabetta Lauro e César Augusto Cuenca Torres anche ottimi interpreti di “Zero (Work in Progress)”. Fisicità perfettamente complementari le loro come la qualità del movimento, richiesto anche rapidissimo dalla scrittura coreografica che, partendo da un ideale “centro” (della vita, della terra), acquista straordinaria dinamicità che conquista la scena intera anche se i due interpreti si obbligano a un legame fisico costante che si risolverà solo alla fine di questa coreografia che si annuncia (già dal titolo) parte di una lavoro più complesso. Lauro e Cuenca hanno già conquistato consensi di pubblico e critica e questo lavoro ha vinto il Premio Equilibrio Roma 2015.



Musica che emoziona facilmente, ma non superficialmente, quella proposta nel progetto “6 Pezzi Facili”, un’autobiografia tra musica e narrazione realizzata da diversi musicisti tra i quali Federico Fiumani, cantautore, chitarrista e scrittore. Voce profonda, accento intenso, grande pathos, racconta la sua storia, di sé e della sua avventura musicale, di come la passione per la musica sia sbocciata attraverso i sei brani canonici, i “Pezzi Facili”, ma che facili poi non sono anche perché c’è solo una chitarra e la voce. 

La storia comincia con il Dalla di “Tu parlavi una lingua meravigliosa” e va avanti con “La canzone dell’amore perduto” di De Andrè e ancora “Perchè no” di Battisti poi “Souvenir” di de Gregori il racconto trova il suo epilogo tra “Un giorno credi” di Bennato e “Venus” dei Television (la deroga in inglese). Scaletta raffinata e piena di spunti narrativi e aneddotica, personali e non, che Fiumani fa diventare anche assai gradevole storia del pop/rock.

 Società complessa e contraddittoria quella contemporanea dove sacro e profano talvolta si mescolano generando  un mix di inconsapevole, grottesca comicità. Società inquieta e pervasa da egoismi come da efficientismo spesso solo di facciata. E’, in sintesi, quel che viene raccontato in “Lourdes”, piéce liberamente tratta dall’omonimo libro di Rosa Matteucci, con lo strepitoso Andrea Cosentino, e in “Io muoio e tu mangi” scritto e interpretato dagli ottimi Roberto Scappin e Paola Vanoni. Prova d’attore quella di Andrea Cosentino che in “Lourdes” da vita a un caleidoscopio di personaggi esilaranti e a un tempo teneri in un susseguirsi di atmosfere diverse sapientemente sottolineate dalla bella musica dal vivo di Danila Massimi. “Io muoio e tu mangi” è un dialogo intimo e a tratti astratto, sempre sul filo di una garbata ironia, che diventa riflessione sulla pietas collettiva che quasi mai tiene in conto i bisogni del singolo individuo, sulle ingiustizie sociali e gli egoismi familiari.

Sansepolcro è la città di Piero della Francesca (1416/17-1492), uno dei più grandi pittori del Rinascimento, al quale quest’anno il Kilowatt Festival ha reso omaggio con “Piero della Francesca. Il punto e la luce” ideato e diretto da Luca Ricci insieme a Lucia Franchi. Anche qui un dialogo tra due personaggi, interpretati da Barbara Petti e Gregorio De Paola, diventa la storia di un linguaggio pittorico del quale svela alcuni segreti come dell’uomo Piero al quale, dopo lo spettacolo, si guarderà sicuramente in modo diverso. Funzionali al racconto i bei video di Andrea Giansanti per la regia di Alessandro Paci. Un appunto sui costumi: perché non è stata scelta la sontuosità rinascimentale o, per contro, un essenziale contemporaneo proponendo invece una modesta citazione dell’antico?

Il Kilowatt Festival di Sansepolcro con l’edizione 2015 diventa anche capofila italiano di un importante progetto ad ampio respiro europeo, il “Be SpectACTive!”, che coinvolge nove Paesi e dodici istituzioni tra teatri, festival e università con l’intento di approfondire il rapporto tra spettatori e artisti nella creazione e produzione delle arti dal vivo contemporanee.