Il 27 novembre la stagione del Teatro dell’Opera di Roma è stata inaugurata con la nuova produzione di Tristan und Isolde di Richard Wagner. La serata è iniziata alle 16,30 quando Daniele Gatti ha alzato la bacchetta in un teatro stracolmo dove dominavano abiti da sera per le signore e black ties per i signori. L’opera, interrotta da due intervalli di circa 45 minuti ciascuno (per esigenza dei cantanti e degli orchestrali), è durata sino alle 22,30 circa. Successivamente, un folto gruppo di personalità si è trasferito nel museo dei costumi musicali allestito a Via dei Cerchi, nei pressi del Circo Massimo per una cena di gala. Chiara indicazione, tra l’altro, che l’inaugurazione del Teatro dell’Opera di Roma gareggia con quella del Teatro alla Scala , e con la cena alla Società del Giardino, anche in termini di mondanità e di ruolo tra i templi della lirica italiani ed europei.



Lo spettacolo, co-prodotto con il Théâtre des Champs Elysées di Parigi (dove ha debuttato lo scorso maggio) e con De Nationale Opera di Amerdam, è il frutto di una stretta collaborazione tra  Daniele Gatti (che debutta al Teatro dell’Opera di Roma dove l’anno prossimo inaugurerà la stagione 2017-28 con  La Damnation de Faust di Hector Berlioz) ed il regista Pierre Audi ed il suo team creativo (Willems Bruls per la drammaturgia, Christof Herter per scene e costumi, Jean Kalman per le luci ed Anna Bertsch) per i video. 



La regia di Pierre Audi e dei suoi collaboratori, in sintonia con i tempi dilatati di Gatti, presenta un Tristan und Isolde quasi visto attraverso il filtro della memoria: i frammenti astratti della nave, i denti delle balene, le rocce che ci fanno sentire che il mare è vicino. Ci sono altri aspetti simbolici  come il corpo di una mummia (Tristano? Suo padre?  Una terza persona? ) elevato verso il cielo, come si fa in Africa dove la morte è concepita come un passaggio, un  viaggio verso l’Alto. 

Questa visione, al tempo stesso onirica e simbolica di Tristan und Isolde ha una sua coerenza,  costruita su dettagli. Ad esempio, il mare si intravede sempre, ma non si vede mai: nel primo atto, la scena mostra i frammenti della nave che conduce Isotta dall’Irlanda alla Cornovaglia, nel secondo atto il giardino del castello di Re Marco viene mostrato tramite una pianura (od una spiaggia?) costellata da denti di balene, nel terzo i ruderi del castello di Tristano in Bretagna sono scogli su cui si infrange il mare dove arriva il battello di Re Marco con Isotta.



L’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma (trovata un po’ sciatta nel 2006 alla più recente esecuzione di Tristan und Isolde nel teatro della capitale) fa miracoli sotto la direzione di Gatti, il quale esalta i singoli strumenti (quali il clarinetto) e tiene un equilibrio perfetto tra buca e palcoscenico ed infonde un clima quasi sognante a tutta la partitura. In tal modo è in perfetta simbiosi con la lettura astratta di Audi. Dall’inizio percepiamo che quello dei due protagonisti è un viaggio verso la morte. Anche se l’intreccio della aktion in tre atti (così la chiamò Wagner) ha una premessa ed un intreccio dove l’eros predomina è un eros fattibile solamente dopo la morte, un incontro tra anime. 

Nella lunga notte del secondo atto – la prima ed ultima volta in cui  dopo l’improvviso innamoramento, i due amanti’ si vedono (quasi) da soli– invocano l’unione tra eros e thanatos ma, fisicamente, si sfiorano appena. Concettualizzano l’amore, anzi la lussuria sublime e completa (höchste Lust) considerata possibile unicamente nell’aldilà.

Veniamo alle voci, iniziando dalle parti impervie dei due protagonisti. Tristano è Andreas Schager , che nel 2016 debuttò al Teatro dell’Opera di Roma in Rienzi, ed è stato il protagonista di Siegfried alla Scala. Non solamente ha retto, senza un cenno di stanchezza, la difficilissima parte (nel solo terzo atto il suo sofferto monologo dura tre quarti d’ora) , ma ha sfatato una leggenda: quella secondo cui il ruolo sarebbe stato scritto per un bari-tenore o per un tenore con la voce brunita. Wagner concepì il ruolo per un tenore lirico spinto. Tale era Ludwig Schnorr con Carolsfeld che, sotto gli occhi vigili del compositore, interpretò la parte a Monaco nel 1865. Morto a soli 29 anni, Schnorr era un grande interprete di Verdi. Era anche un tenore lirico Wolfgang Windgassen che proprio al Teatro dell’Opera di Roma, ascoltai nel 1959 (con Birgit Nilsson nel ruolo di Isolde e con Heinz Wallberg sul podio). A differenza di altri interpreti recenti, Schager ha un timbro chiaro ed magnifico acuto.

La Isotta di Rachell Nicholls è anch’essa di grande rilievo, ma è arrivata stanca al finale e nel primo atto ha a volte ‘strillato’ il suo, anch’esso lungo, monologo. Brett Polegato e John Relyas sono ottimi Kurwenal e Re Marco. Michelle Breedt è una Brangania di lungo corso. Bravi gli altri.

Ben dieci minuti di applausi ed ovazioni, dopo altre cinque ore in teatro e prima di altri tre in festeggiamenti.