È stato pubblicato il nuovo rapporto dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) sulla situazione del trasporto pubblico locale. Avviso ai naviganti e al neo Sindaco di Roma Virginia Raggi: qui di seguito non si presenta la situazione patrimoniale di Atac, la municipalizzata dei trasporti di Roma, piuttosto si tratta di un vero e proprio bollettino di guerra sui conti pubblici italiani. 



Nel 2013 il fatturato realizzato dalla principale azienda italiana di trasporto pubblico locale, ossia l’Atac, è risultato superiore agli 861 milioni di euro, di cui solo 317 milioni provenienti da ricavi tariffari; il resto è costituito da contributi pubblici. In altre parole, più 500 milioni arrivano dalle casse dello Stato e non dai 19 milioni (a spanne) di turisti che ogni anno arrivano a Roma. 



Nel 2015 l’azienda presenta un bilancio in rosso di 80 milioni di euro, ma nel 2013 perdeva oltre 200 milioni, e versa in una situazione drammatica di dissesto finanziario (termine che va certamente “enfatizzato” con altri termini dispregiativi). Il risultato di esercizio mostra un trend negativo apparente non reversibile, visto che dal 2003 l’azienda non produce un bilancio in utile. Da 13 anni è sempre in “rosso”, ormai è fuori da qualsiasi logica di mercato.

I dati sono raffigurati nei grafici a fondo pagina, nei quali spicca il numero di dipendenti, passati dai 1.697 del 2008 ai 13.208 del 2009, ovvero un aumento del 678% in un anno, per effetto di accorpamenti di varie società distinte tutte in Atac. Durante l’Amministrazione Alemanno, l’azienda di trasporti pubblici di Roma si è trasformata probabilmente in uno dei più grossi carrozzoni pubblici d’Italia. Nel 2009, un periodo di fortissima recessione con migliaia di aziende e lavoratori lasciati a casa, a Roma si dava vita a un vero e proprio “mostro” di dimensioni titaniche. Un incremento dei dipendenti fuori da qualsiasi “logica” ha comportato, nel medesimo anno, un costo del lavoro passato da 70 a 573 milioni di euro, un incremento del 714%. 



Nel 2013 i dipendenti ammontavano a circa 12.000, rappresentati da 11 sigle sindacali, con un costo per la società pari a 548 milioni di euro. Si segnala che il costo del lavoro ha un impatto del 64% sul fatturato dell’azienda ed è la principale ragione dei cronici problemi di indebitamento (al 2015 la società ha un debito di circa 1,5 miliardi di euro). Una situazione che per qualsiasi azienda privata significa stato di “fallimento” e libri in tribunale.

Senza dimenticare il parco automezzi “teorico” di 1.980 veicoli ed effettivo di 1.410, con un’età media di dieci anni e qualche milione di chilometri, un livello di disservizio che non ha eguali in Italia. Inoltre, una quota “significativa” di dipendenti non sono impiegati direttamente nell’attività di trasporto. Non sorprende che nel complesso Atac avrebbe una produttività inferiore del 25-30% rispetto a quella media nazionale.

Margine operativo, Risultato netto, Andamento numero dei dipendenti e costo del lavoro

Fonte: Agcm

Lo stesso rapporto Agcm suggerisce che occorrerebbe individuare adeguati “ammortizzatori sociali” e/o fare ricorso a programmi di mobilità del personale, consentita dalla normativa del settore pubblico. Tuttavia, il vero potere di Atac, con i suoi dipendenti, le loro famiglie e il suo indotto di fornitori, sta nel mercato della politica, con decine e decine di migliaia di preferenze. 

Nessun sindaco che vuole vincere (o rivincere) le elezioni toccherà questo “mostro” come le altre “partecipate”. Per risolvere il problema va nominato un commissario straordinario da parte del Governo: letteralmente (senza giri di parole) un “classico” tagliatore di teste, proveniente dal mondo dei giuslavoristi, che predisponga, con l’assistenza del ministero del Lavoro, un programma di ristrutturazione “straordinaria” della municipalizzata.