Il sacco di Roma. Quello della spazzatura, o come dicono qui, della monnezza. Che diventa il sacco di un’intera città, che pure è abituata a barbari e Lanzichenecchi e napoleonici. I sacchi nei cassonetti non ci stanno, anche se è inciviltà dei romani gettarli fuori dai cassonetti, i sacchi, e non solo, pure frigoriferi e materassi. Ci vorrebbe una task force che il comune non ha, e non ha mai avuto, o mai voluto mettere in campo. Facile attaccare il sindaco, i sindaci, anche se alcuni di solito si attaccano un po’ meno, se sono amici di chi governa.
Ora, considerando l’indubbia antipatia della Raggi, è pur vero che nonostante la faccia da fatina la bacchetta magica non ce l’ha, e giustamente rivendica il diritto che la città faccia schifo, se nessuno ha mai pensato a far funzionare lo smaltimento dei rifiuti, a rendere trasparente la gestione delle discariche, che ben sappiamo alimentavano più che il riciclo di spazzatura il riciclo di denaro. Eppure questa storia, che si è voluto fregiare dell’appellativo “mafia”, è già passata in dimenticatoio, i capri espiatori ci sono, e adesso se la veda a chi tocca.
In parte è giusto: hai voluto la bicicletta, pedala, diceva un volgare adagio. Se uno si candida a guidare un città deve far bene i suoi conti, lesinare le promesse e soprattutto non volare alto, pena una precipitevolissima caduta. La sindaca non può giustificarsi dicendo che chi l’ha preceduta ha fatto peggio, anche se è proprio vero e verificabile, basta confrontare le foto delle emergenze rifiuti nella capitale sotto Marino e via via all’indietro nel tempo. Se non ci sono impianti di smaltimento e la Regione non li apre, dove si mettono i rifiuti? Vanno a ingraziare le finanze di paesi che sanno riutilizzarli, vanno a ingolfare discariche d territori incolpevoli e in affanno. Bruciarli non si può, lo fanno già i rom, responsabili pure del saccheggio dei cassonetti, riversati per strada, con gran disdoro del decoro pubblico.
La Regione dice che il comune non ha indicato che impianti vuole, e ci si rimpalla il tizzone ardente, sperando che bruci l’una o l’altra istituzione, per accaparrarsi i post. C’è aria perenne di elezioni, che affumica la vita civile e abusa di qualunque criticità, per proprio interesse. Questo capiscono i cittadini che Renzi invita a indossare magliette gialle per ripulire dall’onta la Caput Mundi. Marino non era roba sua, se l’è tolto di mezzo in fretta, e Buzzi un fantasma che parla solo dal carcere a vita, non fa paura. Gli uni e gli altri scaricano i frutti delle loro strategie politiche e delle loro incapacità sui cittadini, che non devono affatto armarsi di ramazza e paletta, come non devono armarsi di pistole per difendere la propria sicurezza, ci mancherebbe.
Paghiamo le tasse, signori miei, ed esose, a Roma poi per la spazzatura paghiamo le più alte d’Italia. Dunque, mettetevi a tavolino, Zingaretti e Raggi, tiratevi su le maniche e dimenticate Renzi e le elezioni, tocca ascoltare gli esperti, senza farli fuori per sospetti poi appesi al nulla, ed escogitare soluzioni. Ciclicamente il tema ritorna, e di solito a cadenze sospette: e l’avverbio interessa perché è il ministro dell’Ambiente ad usarlo, quest’oggi (ieri, ndr). Ha criticato il “piano ambizioso e illusorio per la gestione dei rifiuti approvato dalla Giunta Capitolina (…) che non fornisce soluzioni concrete per la gestione sostenibile del ciclo dei rifiuti in questa fase e nel transitorio fino al raggiungimento di tali obiettivi”. Che sarebbero l’aumento della raccolta differenziata, l’adozione di siti idonei impiantati dalla Regione, eccetera. Ma poi, aggiunge, “le criticità sulla gestione dei rifiuti continuano a riprodursi in modo ciclico. Ciò è dovuto al persistere di problematiche come la carenza impiantistica”. Dunque, sono emergenze cicliche. Dunque, gli impianti sono insufficienti. Chi ha ragione? Il ministro, che non è del Pd anche se lo sostiene, né del M5s, riesce ad essere superpartes? A tirarsi fuori dalla campagna elettorale?