Abruzzese di nascita ma romagnolo di adozione, oggi Nicola Sanese guarda l’alluvione in Romagna dalla finestra. Democristiano, deputato per cinque legislature, sottosegretario nei governi Craxi e De Mita e sottosegretario alla presidenza del Consiglio nell’ultimo governo Fanfani, ha vissuto una seconda, lunga avventura politica da segretario generale della presidenza della Regione Lombardia. Vuol dire che per 17 anni e 4 mandati, dal ’95 al 2012, non c’è delibera, piano di governo del territorio, opera pubblica dei quattro mandati formigoniani che non sia passata dalle sue mani.



Sanese ha le idee molto chiare, ma non si sbilancia. “Vedo fiorire letture improvvisate, moltiplicarsi diagnosi che non aiutano a capire” dice al Sussidiario. “Occorre che chi ha responsabilità agisca subito in una direzione precisa, sembrerà una banalità ma non lo è”.

Qual è la priorità?

Bisogna fare tutto il possibile per attutire l’impatto, che è stato violento, più di quanto immaginiamo. Questa alluvione è peggio di un terremoto. Quando c’è un terremoto possiamo solo subirlo e adattarci. Invece qui si può, si deve fare tanto.



Sta alludendo alla prevenzione?

No, mi limito al dramma in corso. Migliaia di famiglie saranno ridotte sul lastrico. Le zone colpite sono caratterizzate da una micro-imprenditorialità diffusissima: l’azienda agricola, l’officina, il bar, lo stabilimento balneare, la merceria… Tutte queste attività sono saltate dalla sera alla mattina, se hai 2 metri d’acqua nel locale che ti serve per vivere non salvi nulla, puoi solo ricominciare da zero.

Il Governo ha fornito i primi 30 milioni.

Giusto, nel senso che è bene che ne seguano altri. Con 30 milioni non si fa nulla. Dal cesenate al faentino, tanti comuni non sono più raggiungibili. Oltre alla perdita delle attività economiche c’è il problema della viabilità da ripristinare il prima possibile.



In molti, come è ovvio, sollevano il tema di quello che si doveva o poteva fare e non è stato fatto. Lei dovrebbe saperne qualcosa.

Regione Lombardia prevedeva una serie di azioni da attuare anche non in presenza di eventi calamitosi o eccezionali. Non starei a disquisire adesso sul cambiamento climatico. Stiamo ai fatti: in due giorni è caduta l’acqua di tre mesi autunnali con precipitazioni consistenti. Questi fenomeni ci sono sempre stati, però su scala molto ridotta, limitata. Adesso è stato coinvolto un territorio molto più grande.

Scusi se insisto: che cosa bisognava fare?

Manutenzione, ordinaria e straordinaria. E poi progetti in vista di possibili eventi fuori norma. È stato fatto il dovuto? Io questo non lo so. Qualcuno dice di no: può essere.

A che cosa pensa esattamente?

Mettiamo da parte l’alluvione. A Riccione basta una pioggia appena intensa per allagare i sottopassi. Come mai? Vuol dire che il modo in cui sono state fatte quelle strutture non va bene. Rimini, invece, ha investito molto nel sistema fognario. I problemi, in un modo o nell’altro, vanno sempre a braccetto con precise omissioni. L’importante è che adesso si cominci a ragionare in maniera diversa.

Che cosa deve fare il dirigente pubblico?

Deve fornire al decisore politico elementi seri, professionali, tecnicamente inoppugnabili per metterlo in condizione di prendere le decisioni adeguate. Anche prefigurando quali sarebbero le conseguenze nel caso in cui decidesse di non intervenire.

Lei è stato segretario generale della presidenza di Regione Lombardia. Faceva questo?

Sì, lo abbiamo fatto per vent’anni. C’erano piani di intervento sempre pronti: per salvaguardia e manutenzione, ma anche per fenomeni più gravi.

Sarebbero piani ancora validi, o esportabili?

No, per un motivo molto semplice: erano fatti sulla base degli elementi conoscitivi di allora. Tutto è cambiato e andrebbero rifatti. Oggi molti fenomeni sono aumentati di intensità, dalla siccità alle precipitazioni, è difficile poterlo negare. Indagare questi fenomeni però non spetta al dirigente, né al politico, ma ai tecnici e agli scienziati.

Ammetterà però che i danni parlano chiaro.

Constato che ci sono una serie di danni, come le frane, che erano noti e prevedibili. Se una frana non la sistemo, e poi con le piogge viene giù tutto, la colpa non è soltanto del meteo avverso.

Mettiamo da parte le polemiche sui 55 milioni non spesi dalla regione e restituiti allo Stato, il quale a sua volta, secondo quanto affermato da Bonaccini, li avrebbe restituiti alla Regione. Resta il fatto che siamo incapaci di spendere, come spesso dimostrano i fondi europei. 

È vero. Quelli europei funzionano pressappoco come il Pnrr: io presento un progetto serio, già esecutivo, e l’Europa lo finanzia, a patto che l’esecuzione rispetti il progetto. Se non presento un piano, o se lo presento e poi non lo eseguo nei tempi e nei modi stabiliti, l’Europa interrompe il finanziamento. E io resto con l’opera incompiuta.

In Italia siamo pieni di incompiute. Vi è mai successo?

No, non mi è mai accaduto. Regione Lombardia durante i governi Formigoni ha speso sempre tutto fino all’ultimo centesimo.

(Federico Ferraù)

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