Chi è Rosalia Pipitone, aveva 24 anni quando fu uccisa: condannati i boss Vincenzo Galatolo e Nino Madonia
Rosalia Pipitone aveva 24 anni e un figlio di 4, Alessio, quando due sicari di Cosa nostra, con il consenso del padre Antonino Pipitone – il boss del quartiere palermitano Acquasanta – inscenarono una rapina per ucciderla. Rosalia Pipitone, detta Lia, sarebbe stata assassinata perché si era ribellata alla famiglia mafiosa e perché, con la sua amicizia con un ragazzo e quella voglia di vivere lontano dalle trame della criminalità organizzata, avrebbe sferrato alle regole di Cosa nostra un affronto imperdonabile. Uccisa senza pietà per essersi fatta portavoce di una libertà che la mafia avrebbe scovato in ogni angolo di casa, per poi sopprimerla.
La storia di Rosalia “Lia” Pipitone è protagonista di una delle puntate di Cose nostre, in onda su Rai 1, ed è stata raccontata dal figlio Alessio Cordaro, insieme al giornalista Salvo Palazzolo, nel libro Se muoio, sopravivvimi grazie al quale, nel 2012, il caso sarebbe stato riaperto e la giustizia avrebbe fatto il suo corso arrivando alla condanna di due uomini. Per il delitto di Rosalia Pipitone, il 17 luglio 2019 sono stati condannati a 30 anni di carcere i boss Vincenzo Galatolo e Nino Madonia. Una sentenza confermata nel 2020 dalla Seconda sezione della Corte d’Assise di appello di Palermo e poi dalla Cassazione. Secondo l’accusa, furono i mandanti dell’omicidio di Rosalia Pipitone che avvenne il 23 settembre 1983.
Chi è Rosalia Pipitone uccisa da Cosa nostra con il consenso del padre
Rosalia Pipitone era figlia del boss dell’Acquasanta Antonino Pipitone, uomo di Totò Riina, rimasta orfana di madre a 10 anni e cresciuta con lui e una zia. Fuggita di casa insieme a un ragazzo di cui si era innamorata, Gero Cordaro, da lui, poi diventato suo marito nonostante la rabbia paterna, ha avuto un figlio di nome Alessio. Sarebbe stato proprio quest’ultimo, decenni dopo l’assassinio della madre, a darle giustizia con coraggio e determinazione. L’amicizia sempre più profonda con un cugino, Simone Di Trapani, avrebbe innescato una furia crescente nel boss e nell’intero clan contro quella giovane lontana anni luce dal vivere mafioso. Rosalia Pipitone al centro di una presunta relazione extraconiugale oggetto di continui pettegolezzi, una donna troppo libera e troppo ribelle perché le “regole di mafia” la lasciassero impunita. Sarebbe stato questo il pretesto per la sua condanna a morte, decisa da Cosa nostra con il consenso del padre.
Rosalia Pipitone è stata uccisa il 23 settembre 1983 in una farmacia di Palermo. Mentre vi si trovava all’interno, due uomini armati avrebbero fatto irruzione chiedendo l’incasso. E avrebbero sparato a lei, senza motivo. Più avanti si sarebbe scoperto che quella rapina era una messinscena, un “set” dell’orrore attraverso cui gli uomini di Cosa nostra avevano scelto di assassinarla. Il giorno dopo il delitto, Simone Di Trapani, migliore amico di Lia Pipitone indicato dalle voci di quartiere come suo amante, è morto. Vittima, secondo quanto inizialmente raccontato, di un gesto estremo. Ma quel suicidio, secondo quanto riferito da un collaboratore di giustizia, anche in questo caso sarebbe stato una messinscena per coprire l’azione di due killer di Cosa nostra che, gettandolo dal quarto piano del palazzo in cui viveva, lo avrebbero ucciso. Assassinato come l’amica Rosalia Pipitone, dopo essere stato costretto a scrivere un biglietto: “Mi uccido per amore“. A processo il padre di Rosalia Pipitone è stato scagionato e il giallo è rimasto irrisolto per decenni. Soltanto la determinazione del figlio Alessio avrebbe permesso di riaprire il caso attraverso il libro, scritto a quattro mani con il giornalista Salvo Palazzolo, intitolato come la poesia di Pablo Neruda che Rosalia Pipitone amava più di tutte: Se muoio, sopravvivimi.