La mattina del 28 novembre mi affaccio alla porta dell’aula magna dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, sede del convegno, con mezz’ora di anticipo: è ad anfiteatro, bellissima e completamente vuota; mi chiedo quante di queste 600 poltrone si riempiranno. Mi allontano per una decina di minuti e ritrovo l’aula piena già a metà, con un fiume di studenti che continuano a entrare.



Iniziamo e l’aula è al completo: “speriamo di interessarli almeno un poco!, mi dico. Dopo i saluti del rettore e l’introduzione della presidente della corte d’appello, il prof. Antonio Viscomi, che modera, mi dà la parola. Inizio raccontando come è nata la mostra: di come il mio amico Guido abbia letto, del tutto casualmente (meglio, provvidenzialmente) un articolo su Rosario Livatino, che lo ha così toccato da desiderare un approfondimento di questa figura, di come ne abbia parlato all’interno della Libera Associazione Forense (Laf), di cui anch’io faccio parte, e di come siamo arrivati a concepire e realizzare la mostra. Mi preme far capire che questo lavoro per noi è partito dall’incontro con una persona che aveva molto da dire alla nostra vita, e dalla passione suscitata da questo incontro è nato il desiderio che più persone possibile la conoscessero.



Delineo poi i tratti caratteristici di Rosario Livatino. La sua unità in tutti gli aspetti della vita: fede cristiana, quotidianità e lavoro di magistrato. La cura del dettaglio in tutto ciò che faceva, dalle cose più importanti a quelle più semplici, che dice di un’intensità nel vivere la realtà e della preziosità di ogni istante. Il suo vivere il lavoro come una missione, perché era il suo modo per contribuire al bene comune. La fede che permeava tutta la sua vita e gli dava un’intelligenza particolare nel cogliere la realtà. La sua grandissima umiltà: era sempre consapevole di essere, in quanto uomo, soggetto all’errore e questo lo rendeva molto più attento e acuto. La sua capacità di vivere la vita ordinaria in modo straordinario, perché in ogni cosa metteva il cuore, la passione, l’intelligenza.



Parlo per lo più a braccio e ho modo così di guardare i volti che ho davanti: non vola una mosca, i ragazzi sono attentissimi e i loro occhi sono fissi a me, sono stupita.

Passo a spiegare la composizione della mostra e il titolo, questo “Sub Tutela Dei” che rappresenta il fil rouge della vita di Livatino: un’invocazione costante a Dio di aiutarlo in tutti i compiti che gli si presentano, da quelli più difficili, come il giudicare, a quelli della vita quotidiana. Descrivo il suo senso altissimo del rendere giustizia, che è “rapporto diretto con Dio” perché “il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio”; addirittura, è un rapporto indiretto con Dio “per il tramite dell’amore verso la persona giudicata”; una visione nobilissima, unita a un chiaro senso del proprio limite, che gli dà la capacità di mettersi sempre in discussione e di non trascurare alcun dato a sua disposizione. Da ultimo, racconto cosa sia per Livatino essere magistrato: è colui che vede i drammi che si celano dietro i fascicoli e vi si compenetra, portandoli con sé ovunque e lasciandosi lacerare dal dubbio di sbagliare. Costui non è il semplice operatore del diritto, ma l’operatore di Giustizia.

Mi accorgo di aver parlato per venti minuti, ma l’attenzione dei ragazzi non è scemata neppure per un attimo: l’applauso che si leva non è di circostanza, ma esprime, come i loro volti, l’interesse sincero per ciò che ho cercato di comunicare.

La parola passa a Salvatore Curcio, procuratore di Lamezia Terme: mi dicono sia un grande estimatore di Rosario Livatino e le sue parole lo confermano. Egli “cattura” subito gli studenti con la narrazione dell’agguato, leggendo poi un articolo d’epoca che materializza davanti ai nostri occhi la scarpata in cui giace il corpo del magistrato, pietosamente ricoperto dal lenzuolo bianco; si sofferma quindi, con competenza e precisione, sulle grandi doti professionali di Livatino. Il silenzio che accompagna la narrazione è quasi religioso, segno che i giovani si appassionano, quando si propone qualcosa di realmente interessante per la loro vita.

L’ultimo intervento è affidato a don Carmelo Vicari, responsabile di Comunione e Liberazione per il Sud Italia, che, da siciliano, ricorda il suo stupore di fronte alla morte di quel magistrato sconosciuto e di come poi da estraneo gli sia divenuto familiare, attraverso il racconto di coloro che lo conoscevano. Lo definisce “uno spettacolo umano”, “esito maturo del Concilio Vaticano II”, perché “un popolo fiorisce dove accade la giustizia, accompagnata dalla carità vissuta”.

Il vescovo di Catanzaro Claudio Maniago, con paternità e partecipazione, delinea le conclusioni dell’incontro. Solo dopo le sue ultime parole gli studenti scattano in piedi, con espressione quasi di dispiacere, per raggiungere i bus che li riporteranno a casa.

A me resta negli occhi lo spettacolo di tutti questi giovani, colpiti da Livatino come lo siamo stati noi, curatori della mostra, all’inizio di questa avventura.

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