«Abusavano di me, mi stupravano. Non so dirti in quanti mi hanno stuprata. Erano tutti di origine pakistana», comincia così il racconto di una delle 1.400 vittime dello scandalo Rotherham, nello Yorkshire, nel Regno Unito. Ne parla a Fuori dal Coro, che ha ricostruito il caso esploso nel 2014, in realtà era noto da tempo, ma purtroppo insabbiato.



Tra il 1997 e il 2013 si registrarono 1.400 casi di abusi sessuali su minori: bambine e adolescenti tra gli 11 e i 18 anni che vivevano in comunità per minori venivano prelevate, drogate e abusate. Ma il programma di Rete 4 ha rintracciato una vittima, Claire, che aveva addirittura 4 anni. Lo scandalo travolse anche le istituzioni britanniche perché emerse che le autorità di Rotherham sapevano almeno dal 2010, ma non denunciarono né agirono, pare per non scatenare un caso anche a livello razziale, visto che gran parte degli abusati erano appartenenti alla comunità islamica, in particolare pachistani. Secondo i media britannici, si temeva di passare per “razzisti”.



“CASO INSABBIATO? TEMEVANO DI PASSARE PER RAZZISTI”

Nel 2020 il Times anticipò i risultati di un’inchiesta interna, confermando che gli abusi a Rotherham furono ignorati dalla polizia per l’origine straniera dei sospetti, quindi se la vicenda fosse venuta alla luce si sarebbero accese le tensioni razziali. La circostanza fu confermata anche da una ricercatrice dell’Home Office ai microfoni di BBC Panorama. «È stato tutto insabbiato dagli assistenti sociali e dalla polizia, avevano paura di passare per razzisti», raccontano ora le vittime nell’intervista a Fuori dal Coro.



La verità venne a galla grazie al Rapporto Jay, che porta il nome del professore che venne incaricato di indagare sugli abusi sessuali a Rotherham: identificò 1.400 vittime, soprattutto ragazze bianche che avevano subito abusi da uomini asiatici di origine prevalentemente pachistana. Ma la verità non ha portato a una giustizia completa, perché non tutti gli stupratori sono stati assicurati alla giustizia.

COME È NATO LO SCANDALO ROTHERHAM

Una delle vittime, che all’epoca aveva 13 anni, ha raccontato nelle scorse settimane alla BBC di non aver mai ricevuto scuse ufficiali dalle autorità. Ha denunciato due volte gli abusi subiti alla polizia del South Yorkshire nel 2003, ma ha dovuto aspettare altri 13 anni prima che i suoi abusatori fossero condannati. Aveva anche nascosto i vestiti, alcuni dei quali insanguinati, per consegnarli alla polizia, in modo tale che potessero rintracciare il Dna degli abusatori, ma una settimana dopo la polizia le comunicò che erano andati persi.

La famiglia si rivolse anche ad alcuni politici, tra cui l’allora ministro degli Interni David Blunkett, che però negò di aver ricevuto una lettera da loro. Le cose cambiarono quando la famiglia consegnò tutti i documenti in suo possesso al giornalista investigativo del Times Andrew Norfolk, il quale indagò per più di un anno sulle bande di adescamento di minori nel nord dell’Inghilterra e nelle Midlands. Per il suo lavoro il giornale fu definito razzista e islamofobico.

Quello fu il primo di molti casi pubblicati sui giornali, ma ci volle un anno perché il Consiglio di Rotherham commissionasse un’inchiesta indipendente su come aveva affrontato lo sfruttamento sessuale dei minori.

La ragazza, oggi trentenne, ha ricevuto risarcimenti e scuse dai dirigenti che hanno assunto il loro incarico dopo il 2014, ma ha precisato che si aspettava e voleva le scuse da parte di chi era a capo della polizia del South Yorkshire e del Consiglio di Rotherham all’epoca dei suoi abusi. «Ho ricevuto le scuse di persone che non erano responsabili, in quanto non erano in carica all’epoca in cui sono state prese le decisioni e le mancanze».