Per ridare slancio al vino bisogna procedere con la rottamazione dei vigneti. Questa l’idea dei produttori italiani contro la crisi del mercato mondiale. Le difficoltà riguardano in primis i vini fermi. In questa situazione, i produttori cercano strategie di rilancio o contromisure per salvare almeno la propria redditività. Quindi, non viene scartata nessuna ipotesi, neppure l’uscita dal settore e la fuga verso altri segmenti della produzione agricola. La Francia ha stanziato 30 milioni di euro di fondi nazionali per una massiccia campagna di estirpazione dei vigneti di Bordeaux da 9mila ettari in corso da mesi. Inoltre, ha varato un programma straordinario di ristrutturazione dei vigneti da 150 milioni di euro che prevede anche la possibilità di espianto definitivo. Secondo alcune stime, citate dal Sole 24 Ore, potrebbe interessare nel complesso 100mila ettari di vigneti sui 750mila impiantati.



In questa direzione va anche California, dove si valuta l’eliminazione di circa 12mila ettari di filari. Invece, in Australia c’è una riflessione in corso, visto che si è chiuso il loro principale mercato, la Cina, a causa di dazi fino al +220%. Italia e Spagna monitorano la situazione e ipotizzano una virata su produzioni sostenute finanziariamente dalla Commissione Ue come cereali o colture proteiche. Il tema è stato affrontato anche a Bruxelles, in una riunione del Copa Cogeca, organizzazione che riunisce le associazioni di agricoltori e delle cooperative agricole. Il problema è che l’estirpazione dei vigneti non è una possibilità prevista dalle norme Ue. Iniziative come quelle della Francia vanno autorizzate da Bruxelles, ma possono essere finanziate solo con fondi nazionali.



ROTTAMAZIONE VIGNETI SOLUZIONE ALLA CRISI DEL VINO?

Domenico Bosco della Coldiretti al Sole 24 Ore spiega che in Italia a trovarsi in difficoltà sono soprattutto alcune produzioni del Sud, in primis Sicilia e Puglia. «Aree che non sono riuscite a mettere in campo una politica di brand per valorizzare le proprie produzioni. O che lo hanno fatto solo in parte come avvenuto con la Doc Sicilia». Mastrogiovanni della Cia aggiunge che si tratta di «vini finiti fuori mercato, perché una volta venivano utilizzati come vini da taglio o venduti sfusi». Ma ora i buyer della grande distribuzione e gli imbottigliatori internazionali «cercano soprattutto bollicine bianche o rosé che ormai trovano soprattutto in Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna». Marco Bertagni, presidente di Federmosti, evidenzia il ruolo del cambiamento climatico, che «ha favorito in questi anni la crescita del contenuto alcolico anche di vini di aree una volta fredde ha così ridotto enormemente il ricorso all’Mcr. Una tipologia di prodotto spesso realizzato nel Mezzogiorno». Per questo c’è l’idea della rottamazione dei vigneti. «Per avviare una campagna di espianti occorre un intervento normativo che non è immaginabile con una legislatura Ue in scadenza. Una soluzione potrebbe essere individuata modificando l’attuale regime di ristrutturazione e riconversione dei vigneti prevista dal Piano nazionale di sostegno dedicato al vino e che in Italia è cofinanziato da Bruxelles con un budget di circa 120 milioni di euro l’anno», suggerisce Bosco (Coldiretti).



Mastrogiovanni (Cia) ricorda che in quel budget c’è «un contributo per l’espianto del vecchio vigneto. Un sostegno minimo di circa 1.300-1.500 euro a ettaro. Noi proponiamo di rendere operativa questa parte del contributo lasciando aperta al viticoltore la possibilità di decidere entro un periodo di 5-8 anni se confermare la propria scelta di uscire dal settore o, di fronte a una ripresa del mercato, di reimpiantare il proprio vigneto». Invece, i produttori dell’Unione italiana vini sono contrari a ogni ipotesi di espianto: «Un dibattito su possibili piani di estirpo in alcune aree viticole del Paese, come accaduto in Francia, è un tema da affrontare con cautela, con dati concreti sulla situazione del potenziale e sull’andamento dei consumi in futuro. Invece le misure del Piano nazionale di sostegno sono dirette a rafforzare la competitività delle imprese del vino e a orientare le produzioni al mercato, non a incoraggiare l’abbandono della vigna e il prepensionamento dei viticoltori».