Una maggioranza di centrodestra o destra-centro, a seconda dei punti di vista, il partito di opposizione più forte che si sposta verso una sinistra più netta, lontano dalla tradizione marxista e più vicino a posizioni da vecchio partito radicale. Due donne al “comando delle operazioni”. E in mezzo?
Secondo i sottili analisti di qualche mese fa, a questo punto, ci sarebbe stata una prateria sterminata di voti centristi o riformisti nelle mani di due presunti “politici di razza”: Carlo Calenda e Matteo Renzi. E questa è un’altra leggenda italiana, forse la più significativa dopo trent’anni di anti-politica militante e tentativi di dotare la cosiddetta seconda repubblica, mai in realtà realizzata, di una classe dirigente degna di questo nome.
Prima di entrare nel merito della lite tra i due personaggi paracomici, che si insultano a vicenda, tanto da indurre il Corriere della Sera a dedicare un articolo alla sequenza cronologica degli insulti, dei ripensamenti quotidiani e delle “balle” reciproche recitate con una convinzione da osteria di periferia (il bar sarebbe già di un livello superiore).
Italia viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda sono sempre sul punto di fondersi in un unico partito e la necessità di questa unione è molto prosaica: il quorum da raggiungere in caso di elezioni con il sistema proporzionale, la questione dei relativi quattrini e la possibilità di incidere su un sistema politico che è condannato ormai a un immobilismo che fa solamente paura.
Si è visto subito dalle elezioni politiche, dove c’era perlomeno un accordo, che i due partiti, insieme, raggiungono a stento l’8 per cento, anzi stanno un poco al di sotto di quella quota. Un 4 per cento stentato – a testa – che non li farebbe entrare, per lo sbarramento fissato dalla legge elettorale, nel prossimo Parlamento europeo. Perché quindi due personaggi come Renzi e Calenda, che vogliono innanzitutto essere protagonisti singolari, dovrebbero fondere i loro partiti? Su quale visione comune? Meglio separarsi come hanno fatto in questi giorni, poi magari si vedrà. Non c’è mai una fine sicura in casi come questi. Occorrerebbe serietà.
Se si guarda al panorama più in generale e non si ricorre alla psicanalisi da rotocalco fatta quasi sempre sui due personaggi, ci si rende conto che Italia Viva di Renzi e Azione di Calenda altro non sono che uno smarcamento di bassa cucina elettorale, fatta sulla base di uno spiccato interesse personale dopo il vuoto lasciato dai partiti fatti fuori da quella “manovra” del 1992 che liquidò di colpo cinque partiti democratici e che ogni tanto si ricorda per come è stata fatta, da chi è stata concepita e che cosa ha procurato alla democrazia italiana.
Sia Renzi che Calenda hanno già fatto i loro danni: con un referendum improvvisato e personalizzato il primo, con un’attività da ministro inconsistente in un governo renziano, il secondo.
Il meno che si possa dire dei due è che sono anche loro il prodotto di un mancato rinnovamento della classe dirigente italiana nel suo complesso, dopo il colpo inferto all’Italia oltre trenta anni fa. Due personaggi folcloristici che non hanno mai conosciuto un partito vero.
Ed è inutile stupirsi, pensando che tutto possa cambiare di colpo e continuando a predicare che occorre pensare al futuro. Purtroppo, diceva Karl Marx, la storia ha tempi e scadenze che vanno rispettate, altrimenti si rischia di esserne travolti. Senza scomodare la filosofia della storia (chi vuole occuparsene studi Tucidide, magari Vico e anche Hegel), le svolte epocali hanno bisogno di tempi lunghi per produrre effetti negativi o positivi. Esiste pure la possibilità che grandi traumi provocati producano il nulla, l’inconsistenza, la disgregazione.
Piero Craveri ha scritto un libro che meriterebbe più attenzione, Dalla democrazia incompiuta alla postdemocrazia. Ma al momento, nella routine della sopravvivenza e dell’emergenza italiana, non ci sembra che in Italia ci sia qualcuno che abbia una visione di dove possa andare a finire persino una possibile e poco edificante post-democrazia.
Se si ascolta il concitato dibattito politico italiano, ci si rende conto che quasi tutti, leader e vari esponenti di partito, sono semplicemente capaci di fare un elenco delle riforme necessarie, degli interventi e delle cose di cui avrebbe bisogno l’Italia. Ma oltre a fare gli elenchi bisognerebbe inquadrare qualche soluzione per ogni problema da risolvere, provare a sperimentarla, tentare di coordinare questa soluzione in una visione politica complessiva.
Tutto questo sembra impossibile: da trent’anni si parla di riforma della pubblica amministrazione, da quaranta almeno di riforma della giustizia, da tempo immemorabile di riforma fiscale. Ci limitiamo a pochi casi, che sono tutti tramandati nei libri e ora sono oggetto di una graduatoria sulle aspettative nei sondaggi.
Chissà se qualcuno ragiona solo su questo fatto: prima del ’92 in Italia c’erano otto milioni di persone che erano iscritte a diversi partiti e quindi, solamente partecipando a qualche riunione, erano informate sommariamente su quello che accadeva. Oggi quegli iscritti sono svaniti, ma oltre a tutto, prima del ’92 la partecipazione al voto si aggirava tra l’80 e il 90 per cento, mentre oggi si va normalmente sotto il c50 per cento. Sia Renzi che Calenda fanno parte di questo panorama politico.
È comodissimo dire che tutti gli italiani siano rimbambiti. Può anche darsi. E se ipotizzassimo che ci sia una classe politica, nel suo complesso, che non ispira più alcuna fiducia? Forse occorrerebbe pensarci, qualche volta.
Con la memoria storica che si coltiva in Italia, con la confusione dei problemi irrisolti, è inevitabile che ci sia chi pensi che la politica non sia più “l’arte del possibile”, ma un lavoro dove si deve occupare più spazio possibile e – se capita – discutere sul possibile e magari sul nulla o un altro diversivo.
Questo è un meccanismo (tra immobilismo e trasformismo) che in genere non ha mai funzionato. Alla luce di quanto accade nella politica italiana, le polemiche tra Renzi e Calenda sembrano quindi solo la fondazione di un “terzo polo” immaginario e irrealizzabile e si consumano in un delirio mediatico.
Pensare poi a una soluzione centrista, in Italia, sembra oggi di parlare più di una collocazione geografica che politica. A pensare infine a una vocazione riformista, viene infine da ridere, pensando da chi è nato, dove è nato e da chi è stato rilanciato il vero riformismo. Che cosa hanno detto o dicono Renzi e Calenda della storia del riformismo italiano che fu spesso combattuto al punto che non si poteva neppure nominare?
A dirla tutta, il duo Renzi e Calenda, con i loro insulti e i loro ripensamenti reciproci, sembra lo spot dell’attuale politica. Con il guaio di essere, in più, in minoranza, rispetto ai loro colleghi di quest’avventura sinora sgangherata.
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