Il conflitto in Ucraina ha sconvolto gli equilibri europei e mondiali, con ripercussioni piuttosto evidenti sulla politica, sull’economia ma anche sulla vita quotidiana delle persone, che si trovano a dover fare i conti con un presente sempre più incerto e labile, con sempre meno certezze. A parlarne, sulle pagine del Corriere della Sera, è stato il saggista e accademico ma anche professore di fisica Carlo Rovelli. “Siamo di fronte a un’evidente aggressione feroce da parte di un Paese con un regime politico che la maggior parte di noi detesta — io per primo —, contro un Paese che viene ridotto in macerie per essersi avvicinato alla nostra Europa. Per una volta almeno sembra chiaro da che parte stia il torto, e la reazione istintiva è concentrarsi solo su questo, la ovvia condanna dell’aggressore e la difesa del Paese aggredito, aiutandolo militarmente, indipendentemente da qualunque altra considerazione”.



Secondo il fisico, non si tratta della scelta giusta da parte dell’Italia: “Questa reazione naturale alimenta il «noi contro loro», lo spirito di gruppo. Fa crescere la belligeranza. Questa è da sempre la logica della guerra: concentrarsi sulle nefandezze del nemico (spesso, ahimè, reali) ignorando il resto, demonizzarlo sempre di più, dipingerlo come pazzo sanguinario, alzare lo scontro, sentirsi dalla parte della moralità, della giustizia, e per questo arrivare a sparare, uccidere”.



Carlo Rovelli: “Interessi economici sopra alla pace”

Carlo Rovelli, nel suo intervento sul Corriere della Sera, ha parlato di “errore” da parte dell’Italia, che non avrebbe dovuto aiutare militarmente l’Ucraina. I motivi per cui siamo di fronte ad uno sbaglio, secondo il fisico, sono due: “La mia opinione, per quello che vale, è che sia un errore di cui ci pentiremo, soprattutto in Europa. Penso sia un errore per due motivi, uno a corto termine e uno a lungo termine. Il primo è che dare più importanza alla logica dello scontro che non alla cessazione delle ostilità implica aumentare, e non diminuire le sofferenze dell’Ucraina. Qualcuno pensa davvero che mandando armi in Ucraina diminuiamo le sofferenze della guerra, diminuiamo il numero di morti e la quantità di devastazione? Le armi mandate in Siria sono servite a fare soffrire meno Aleppo?”.



La riflessione dell’accademico e saggista termina con un quesito: “Perché non possiamo semplicemente vivere senza che la gente muoia sotto le bombe? Perché diamo più peso a interessi economici e giochi di potenza, che all’immenso dolore delle persone? Perché cadiamo tutti in questa logica guerresca?”. Domande alle quali una risposta non c’è: “Non lo so, e cerco come tutti risposte, ma il clima di belligeranza che percepisco attorno a me, in cui vedere sofferenze ci spinge a sostenere la guerra, e chiamiamo «pace» l’inviare armi, mi preoccupa profondamente, mi fa pensare che stiamo forse commettendo un errore. Tante altre volte i Paesi si sono eccitati in questo modo, e spesso è finita male. Abbiamo paura gli uni degli altri. Siamo spaventati dalla nostra stessa ombra, e trasformiamo la nostra terra in un inferno. La gente sta morendo in Ucraina. Stanno morendo civili, giovani soldati ucraini che combattono, giovani soldati russi che individualmente non hanno colpa di nulla. La guerra non risparmia nessuno, nessuna guerra lo fa. Io penso che la vera urgenza sia salvare loro”.