Si torna – questa volta sulle pagine del quotidiano americano New York Times – a parlare di Ruby Rubacuori, dal famoso (o famigerato) scandalo del Bunga Bunga e soprattutto della figura di Silvio Berlusconi, reale ‘protagonista’ di uno dei casi giudiziari più discussi nel nostro bel paese: ad oggi Ruby (all’anno Karima el-Mahroug) ha superato i trent’anni e nonostante si sia ricostruita una vita, porto ancora le indelebili ferite dello scandalo che la costringono dopo tutti questi anni a difendersi nei tribunali italiani dalla pesantissima accusa che le dipinse come una vera e propria prostituta minorenne.
Tornando un attimino – e rapidamente – indietro, si ricorderà che il caso di Ruby Rubacuori esplose quando l’allora presidente del Consiglio Berlusconi si spese per ottenerne la scarcerazione raccontando falsamente (ma confermando in un secondo momento che era convinto della veridicità dell’affermazione) che era la nipote dell’egiziano Mubarak: si aprirono tre lunghi processi nei quali il Cav fu accusato di aver comprato il silenzio di Ruby Rubacuori su quello che avveniva all’interno della villa di Arcore durante i festini che in quel periodo passano alla storia con il nome di Bunga Bunga; ma a conti fatti Berlusconi ne uscì completamente pulito e sollevato da ogni accusa.
Ruby Rubacuori: “Venni etichettata come prostituta minorenne”
Tornando con la mente a quel difficile periodo, Ruby Rubacuori racconta al New York Times che il solo “conoscere Silvio Berlusconi mi è costato molto” perché la fece finire in un baratro infinito di lunghi processi, il tutto mentre all’età di 17 anni venne “etichettata” indelebilmente “come una prostituta minorenne” e sbattuta sulle primissime pagine di tutti i giornali italiani ed esteri; senza dimenticare che contro di lei venne mossa una vera e propria campagna diffamatoria via social.
Interpellata dal giornalista americano in merito alle smentite tangenti pagate da Silvio Berlusconi, Ruby Rubacuori conferma di aver più volte partecipato ai festini ad Arcore e di aver ricevuto “circa 40.000 euro e alcuni gioielli” – come peraltro raccontato da altre delle donne presenti comparse nei vari processi -, ma smentisce anche categoricamente di aver commesso qualsiasi atto illegale; peraltro ascrivendo l’intero accaduto all’innocenza di una ragazzina che arrivò dal Marocco senza soldi e senza lavoro, dicendosi letteralmente “uccisa” da media e inquirenti “per arrivare a Silvio Berlusconi”.