Le giovani ospiti delle “cene eleganti” di Silvio Berlusconi ad Arcore hanno sicuramente mentito «per un personale e attuale interesse di natura patrimoniale». Nello specifico perché l’ex premier elargiva loro grandi somme di denaro. Lo hanno accertato le sentenze dei processi Ruby 1 e Ruby 2. Ma quelle bugie non posso essere usate per condannare le ex olgettine per corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza, in quanto quando sono state chiamate a testimoniare durante i processi dovevano essere sentite come «testimoni assistite» da un legale essendo «indagate in un procedimento connesso». In quanto tali, avrebbero avuto il diritto a non parlare, quindi ad avvalersi della facoltà di non rispondere. Per i giudici della settima sezione penale del tribunale di Milano (presidente Marco Tremolada) non è un «mero sofisma», perché la tutela del diritto al silenzio vuol dire «assicurare l’effettività della garanzia di un principio che innerva l’essenza stessa del sistema processuale e affonda le radici direttamente nel diritto di difesa, costituzionalmente presidiato e pietra d’angolo dell’ordinamento giuridico».



Quanto sopra ha costituito un’omissione di garanzia che ha «irrimediabilmente pregiudicato l’operatività di fattispecie di diritto penale sostanziale». Lo scrivono nelle motivazioni della sentenza del processo Ruby ter con cui è stato assolto Silvio Berlusconi insieme ad altri 28 imputati. Se le imputate fossero state qualificate correttamente come indagate, essendoci già indizi di colpevolezza, «si sarebbe potuto discutere della configurabilità» delle ipotesi di reato di intralcio alla giustizia o di corruzione in atti giudiziari. Visto che «andavano correttamente qualificate come indagate di reato connesso e non testimoni», non solo non si configurano false testimonianze, ma «neppure il reato di corruzione in atti giudiziari» collegato, in quanto non ci sono più i testi pubblici ufficiali “corrotti” e di conseguenza neppure «l’ipotizzato corruttore, nel caso di specie Berlusconi».



MOTIVAZIONI SENTENZA RUBY TER: “OLGETTINE MAI STATE TESTIMONI”

Quando le imputate sono state sentite nel corso del processo Ruby 1, gli inquirenti – secondo i giudici – avevano tutti gli «indizi di reato» sufficienti per iscriverle nel registro degli indagati. Quegli elementi emergevano da perquisizioni, accertamenti bancari, sos di Bankitalia, così come dalla testimonianza dell’ingegnere Giuseppe Spinelli, ragioniere fiduciario di Silvio Berlusconi, che aveva reso in aula prima dell’esame di tutte le attuali imputate. Spinelli spiegò che dall’anno 2012 venivano effettuati bonifici mensili, come disposto dall’ex premier, dopo che vi erano state elargizioni occasionali con bonifici e in contanti. Dunque, secondo i giudici, grazie alla testimonianza del ragioniere, «l’autorità giudiziaria e le parti hanno avuto contezza che a partire dal 2012 Berlusconi elargiva alle stesse dazioni di denaro con periodicità mensile. Si tratta dei bonifici di (non meno di) 2.500 euro mensili oggi contestati tra i profitti della condotta corruttiva percepiti da tutte le imputate e già stigmatizzati nelle sentenze dei processi Ruby 1 e Ruby 2, come primo indizio del mercimonio delle dichiarazioni da rendere in dibattimento». Cioè per acquistare la loro reticenza su quanto accadeva a Villa San Martino.



Questo il motivo per il quale i giudici hanno respinto le accuse della procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio, che avevano chiesto la condanna di Silvio Berlusconi (e degli altri imputati) per aver acquistato il silenzio delle ex olgettine nei processi. Ed è anche il motivo per il quale è stata respinta anche l’accusa di riciclaggio mossa contro Luca Risso, all’epoca fidanzato di Karima El Mahroug, a tutti nota come “Ruby Rubacuori”. Ma pure dei 5 milioni di euro che lei aveva ricevuto dall’ex premier erano emersi indizi che per i giudici potevano avere un solo significato, cioè che Ruby «aveva quantomeno accettato la promessa di laute somme di denaro per rendere dichiarazioni compiacenti in favore di Berlusconi». Ed è stato assolto anche Risso perché «la mancata configurazione del delitto di corruzione in atti giudiziari contestata a Ruby determina l’insussistenza anche del reato di riciclaggio» mosso nei suoi confronti. La procura di Milano comunque è al lavoro per preparare il ricorso in appello contro la sentenza del tribunale di Milano.