Quando Meredith Kercher fu uccisa nella casa di via Pergola a Perugia, la notte del 1° novembre 2007, lui avrebbe cercato soltanto di tamponare le ferite e, presa coscienza dell’orrore che aveva davanti, sarebbe andato “in tilt” e si sarebbe allontanato dall’abitazione. Un gesto che non sarebbe stato quello di chi intende fuggire dalla scena di un crimine che ha commesso. A sostenere questa posizione è Rudy Guede, tornato ancora una volta davanti alle telecamere per raccontare la sua storia dopo aver scontato la pena per l’omicidio della studentessa inglese che lo ha visto unico condannato. Il processo a carico di Amanda Knox e Raffaele Sollecito si concluse con l’assoluzione in via definitiva dopo che entrambi avrebbero trascorso circa 4 anni in carcere.
Le parole affidate da Rudy Guede alla stampa negli ultimi giorni hanno il sapore del fuoco. L’ivoriano non vuole alimentare dolore e riaprire vecchie ferite, soprattutto nella famiglia della vittima, ma è inevitabile che le sue interviste riaccendano l’attenzione sul caso. Dopo aver parlato ai microfoni di Andrea Purgatori per Atlantide, Rudy Guede ha scritto una lettera – diffusa dall’Ansa – in cui esprime il suo punto di vista e lancia un appello: “Chi non mi crede legga gli atti“. “Ho sbagliato, ma non sono un assassino – questo un passaggio della sua versione riportata dal settimanale Nuovo –. In quegli istanti la paura ha preso il sopravvento e sono scappato come un vigliacco lasciando Mez (Meredith, ndr) forse viva. Di questo non finirò mai di pentirmi“. È questo il solo senso di colpa che, a suo dire, nutre rispetto alla morte della studentessa. Un sentimento che già aveva espresso nell’intervista ad Atlantide. Rudy Guede non si capacita di come la giustizia italiana possa avergli inflitto una condanna per omicidio in concorso ed essere stato l’unico a finire in cella, ma “non come autore materiale del delitto“.
Rudy Guede: “Stranamente non mi è stata concessa la revisione del processo”
Rudy Guede lamenta il rigetto della sua richiesta di revisione del processo, giudizio che lo ha visto unico condannato in via definitiva per l’omicidio di Meredith Kercher. La sua istanza, ha spiegato ai microfoni di Andrea Purgatori, nasceva da un punto preciso della sentenza: “Sarebbe stato giusto riaprire il processo e rivedere la mia posizione, perché passa questa strana immagine che io sia l’unico condannato e quindi anche il colpevole, ma non è così. Primo perché è la mia coscienza che me lo dice. Io sono stato condannato in corcorso con due soggetti che ora sono liberi (…). Condannato in concorso come concorrente minoritario, a questo punto mi sono battuto per dire ‘Scusate, se due soggetti sono liberi io cosa posso aver fatto?’ Purtroppo, una volta che la Cassazione ha messo fine a questo discorso – ha concluso Rudy Guede –, ci vorrebbe che i due soggetti confessassero quello che hanno fatto“.
Rudy Guede ritiene di essere un capro espiatorio “perfetto” nella ricostruzione dell’omicidio di Meredith Kercher, come riportato dalle colonne di Nuovo: nel suo caso, secondo quanto ha dichiarato l’ivoriano, lui avrebbe scontato la pena come “persona che non si capisce di cosa sia colpevole e con chi“. “Un condannato impossibile – ha sottolineato – o forse il condannato ideale” perché di colore, “senza famiglia, senza spalle coperte e senza un soldo“.
La nuova vita di Rudy Guede e la lettera: “Chi non mi crede legga gli atti”
Rudy Guede oggi vive a Viterbo e la sua nuova vita dopo il carcere è quella di un giovane come tanti. Lavora presso il Centro Studi criminologici e la sera fa il cameriere in un locale. Sullo sfondo, a suo dire, l’ombra di un pregiudizio duro a morire dopo essere stato condannato per l’omicidio di Meredith Kercher. L’ivoriano si dice innocente e in una lettera aperta all’Ansa, diffusa poche ore fa a margine del 15° anniversario della morte della studentessa inglese, sottolinea alcuni aspetti della sua prospettiva sui fatti di Perugia.
“Invito tutti a non credere alle mie parole – si legge in un passaggio –, ma di leggere gli atti prima di parlarne e che io metto a disposizione di chiunque fosse ancora interessato. Non era mia intenzione riaprire ferite mai chiuse e rinnovare il dolore dei protagonisti di questa storia, primi tra tutti i familiari della ragazza“. Nella lettera, Guede affronta la questione sollevata dall’avvocato di Raffaele Sollecito circa la necessità di un provvedimento di espulsione a suo carico: “Apprendo che dovrei essere espulso in quanto privo di permesso di soggiorno e che il questore di Viterbo stia commettendo un reato nel non emettere un decreto di espulsione: ebbene si tranquillizzi chi lo sostiene in quanto sono in possesso di un regolare permesso di soggiorno e senza il quale tra l’altro non potrei lavorare dove lavoro”. “Secondo alcuni – prosegue Rudy Guede – sarei stato condannato per omicidio volontario e non ‘in concorso’ con altri (noti o ignoti che siano) ma le sentenze di primo e secondo grado affermano tale circostanza e la Cassazione conferma le precedenti“.