Il monologo di Rula Jebreal è stato il momento più toccante della prima serata del Festival di Sanremo 2020. Le parole della giornalista sono arrivate come un pugno nello stomaco e hanno scosso profondamente l’anima di tutti gli ascoltatori. Tuttavia, il discorso della giornalista che, per le violenze subite dalla madre che si è poi tolta la vita, è cresciuta in un orfanotrofio, hanno spaccato l’opinione pubblica. Da una parte ci sono le donne vittime di violenza che ringraziano profondamente la Jebreal per il forte messaggio che ha lanciato al mondo dal palco di Sanremo e, dall’altra, ci sono quelli che accusano la giornalista di retorica non considerando il palco dell’Ariston il luogo più adatto per un monologo forte, intimo e vero come quello fatto da Rula. “Da vittima di violenza dico grazie a questa grande Donna. Ho pianto. Basta, la colpa non è mai nostra”, scrive una ragazza. “Monologo perfetto, emozionante, ben strutturato. Non capisco perché l’italiano medio deve fare polemica su tutto, nella maggior parte dei commenti c’è una lamentela”, scrive un’altra signora. E poi c’è chi utilizza il monologo della Jebreal per polemizzare ancora sulla presenza di Junior Cally: “E sullo stesso palco salirà Junior Cally. E’ tutto completamente assurdo”, sottolinea un’altra (aggiornamento di Stella Dibenedetto).
MONOLOGO RULA JEBREAL: “NOI DONNE SEMPRE COLPEVOLI…”
A dir poco emozionante il monologo di Rula Jebreal al Festival di Sanremo 2020. Era atteso questo momento, e su questo si è fatta molta polemica, e non ha deluso le aspettative, anzi hanno commosso tutti all’Ariston e davanti alla tv. Non è stato politico, né divisivo, anzi è stato focalizzato su uno dei temi che tocca maggiormente l’Italia: la violenza sulle donne. Prima ha letto alcune delle frasi rivolte nelle aule di tribunale alle vittime di violenze sessuali: «Sono domande insinuanti che sottolineano una realtà amara: noi donne non siamo mai innocenti». Leggendo sul palco ha detto: «Noi donne siamo sempre colpevoli o perché siamo troppo disinibite. O perché siamo troppo belle, o troppo brutte». E poi ha letto una strofa de “La Cura” di Battiato. Un monologo intenso quello di Rula Jebreal, che racconta la sua infanzia, l’essere cresciuta in luoghi di guerra, il suo essere diventata orfana. Ma ha anche sbattuto in faccia i numeri sulle violenze alle donne: negli ultimi tre anni in media 88 donne al giorno hanno subito abusi o violenze nel nostro Paese. «Ogni tre giorni ne viene uccisa una. Nell’ottanta per cento dei casi il “carnefice ha le chiavi di casa”».
MONOLOGO RULA JEBREAL: LA MADRE STUPRATA E SUICIDA
Dopo aver letto una strofa de “La donna Cannone” di De Gregori, Rula Jebreal è tornata a raccontare il dramma della madre. Il monologo ha così toccato il punto più alto a livello emozionale. «Mia madre Nadia ha perso il suo ultimo treno quando avevo cinque anni, si è suicidata. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, perché fu stuprata due volte: a 13 anni da un uomo e poi da un sistema che l’ha obbligata al silenzio. L’uomo che l’ha violentata aveva le chiavi di casa». E quindi ha citato un passaggio di “Sally” di Vasco Rossi, per poi continuare il suo discorso. «Le canzoni che ho citato stasera sono tutte scritte da uomini, è possibile trovare le parole giuste, raccontare l’amore». E quindi la giornalista ha lanciato un appello dal palco dell’Ariston: «Questo è il momento in queste parole diventano realtà – ha proseguito – Per farlo dobbiamo lottare e urlare da ogni palco, anche quando ci diranno che non è opportuno. Io sono diventata la donna che sono grazie a mia madre e mia figlia».
MONOLOGO RULA JEBREAL: L’APPELLO
Rula Jebreal si è rivolta poi agli uomini: «Lasciateci essere quello che vogliamo, siete i nostri complici, indignatevi insieme a noi quando ci chiedono cosa abbiamo fatto per meritarci quello che abbiamo». L’ultimo brano citato dalla giornalista è quello di una donna: “C’è tempo” di Fiorella Mannoia. Infine, ha invitato tutti a supportare le donne che necessitano di aiuto. «Domani guardate pure come eravamo vestite noi donne a Sanremo, ma che non si chieda più a una donna stuprata come era vestita». Il monologo di Rula Jebreal è travolgente: «Non vogliamo più avere paura, essere vittima, essere una quota. Lo devo a mia madre, a tutte le madri, e anche a me stessa, alle nostre figlie, alle bambine: nessuno può permettersi di toglierci il diritto di addormentarci come in una favola».