Conte è scomparso dai radar. Non si è più visto né sentito, dopo l’uscita da Palazzo Chigi, gli applausi dalle finestre e le lacrime stagnanti di Casalino. Eppure il presidente dimissionario aveva promesso di esserci sempre, davanti al tavolino in piazza, alle telecamere, ai suoi 3.733.888 fan di Facebook.

Con quell’improvvisata costruita si era infatti messo a disposizione dei pentastellati e della coalizione giallorossa. Come consulente, riferimento, arbitro, condottiero. “L’avvocato degli italiani” aveva quindi tracciato la linea per i “portavoce” e gli attivisti 5 Stelle: “transizione ecologica, transizione digitale, equità sociale”. Poi qualcosa deve essere accaduto. Oppure era soltanto un modo per lasciare un ricordo evocativo, per diventare un mito fuori scena come il Lucio Battisti delle emozioni senza tempo o il Beppe Grillo allontanato dalla Rai.



Intanto il Movimento 5 Stelle si è spaccato su Rousseau e a palazzo, con la conseguente espulsione di 31 parlamentari dai gruppi di Camera e Senato per il loro “no” a Draghi. Però sul piano formale costoro fanno ancora parte del Movimento, in cui le divisioni crescono: sulla legittimazione del reggente – in prorogatio? – Crimi a proporre il cartellino rosso estratto dai capigruppo; sulle norme e le procedure interne; sull’apertura dei procedimenti disciplinari deliberata dal collegio dei probiviri con la contrarietà della componente Raffaella Andreola, che ha chiesto il voto on line in merito alla cacciata dei dissidenti, temendo ricorsi all’orizzonte e soprattutto la nascita di un movimento alternativo dei duri e puri capitanato dal “Dibba” e organizzato dal giovane Casaleggio.



“È il peso della democrazia partecipativa”, commenta una “gola profonda” che appartiene all’ala governista dei 5 Stelle. “Noi facciamo esprimere la base”, compendia. La verità è che nel Movimento c’è il caos totale: che Conte è scomparso come le sue promesse davanti al tavolino e il ragioniere di un romanzo di Camilleri; che Grillo e Casaleggio junior sono ai ferri corti; che la partita sarà sul direttorio a 5, in cui – confida una nostra buona fonte – Barbara Lezzi e Nicola Morra, entrambi espulsi, vorrebbero entrare per cambiare rotta e meta. “Lezzi – rivela il nostro informatore – non ha mai digerito la mancata riconferma come ministro e Morra deve preservare la poltrona di presidente della commissione Antimafia. Per questo i due hanno scelto la via della guerra interna sotto traccia, perciò interpretano il ruolo delle vittime e degli ortodossi. Vogliono che gli iscritti annullino l’espulsione dai gruppi parlamentari e l’avvio del procedimento disciplinare, in maniera da candidarsi per il direttorio. Con l’aria che tira e i numeri che hanno, potrebbero farcela. Il Movimento è sventrato, governisti e puristi si equivalgono”.



In questa confusione Alessandro Di Battista, che a sua insaputa ha provocato la crisi interna, assicura di non voler spaccare il Movimento e promette “l’opposizione culturale al governo Draghi”. Libri, interviste, apparizioni. Nel mentre si intasano le chat dei No Berlusconi, leggasi No Draghi. I deputati M5s assenti al voto sul governo hanno presentato certificato medico o giustificato altrimenti, ma il nostro confidente ipotizza che in alcuni casi si sia trattato di “un espediente per non guastarsela con la base, per non prendere posizione e non farsi espellere”. “Probabilmente Alessio Villarosa (sottosegretario all’Economia nel Conte 2, nda) era convinto – dice il nostro confidente – che l’astensione gli avrebbe evitato l’espulsione. Solito equilibrismo”.

Il rapporto tra forma e sostanza, utilizzate a geometria variabile, è sempre stato un problema della cultura grillina, coperto con l’oracolo di Rousseau. Ma un parlamentare M5s che non vuole esporsi giura: “Le espulsioni sono sacrosante. Ci permetteranno di crescere politicamente, di proseguire nella nostra battaglia per l’ambiente e di scaricare soggetti che non sopportano gli altri, che urlano e basta, che non hanno una visione politica e accuserebbero anche la loro ombra”.

Matteo Renzi ha preso quattro piccioni con una fava: ha levato di mezzo Conte, ha sgretolato il Movimento 5 Stelle, ha mandato in tilt il Pd, ha sfiancato Leu. Qualcuno, tuttavia, seguita a canzonarlo.

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