Giuseppi balla coi lupi, e ne è ben consapevole: sono ben due i lupi che vogliono farne un sol boccone, e si chiamano entrambi Matteo. La crisi di governo è bella e confezionata, e il premier Conte lo sa: i due Matteo – Salvini e Renzi – si sono visti e rivisti, chez Verdini, anche nel corso della quarantena (e non tramite Skype). L’accordo è scritto nei minimi dettagli: nuovo governo a guida Draghi, ma anche Panetta, se l’ex capo della Bce spenderà il suo delfino in luogo di se stesso. L’unica certezza è che nel nuovo governo i due Matteo ci entreranno di chiatto, in prima persona, uniti per una volta dal motto andreottiano secondo cui “il potere logora chi non ce l’ha”.
Conte sa bene che la trama è pronta e ben oliata: del resto Giuseppi non ha manco bisogno dei report dei servizi segreti del suo amico Vecchione, gli basta leggere ogni domenica gli articoli di Bisignani sul Tempo; “Bisi” è stato il primo ad annunciare il golpe che defenestrerà Conte, e l’avvocato del popolo a Roma ha sensori sufficienti per verificare che le cose stanno esattamente così.
E cosa fa il premier per evitare tutto ciò? Niente, o quasi niente: il vecchio ragazzo di Villa Nazareth sa che Roma ladrona – per dirla con Bossi – usa e getta, e dunque Giuseppi si prepara ad essere gettato dopo essere stato usato. Ma a sua volta il presidente del Consiglio costruisce un futuro dopo la permanenza a Palazzo Chigi. E il futuro di Conte ha un simbolo antico: lo scudo crociato, l’effige di un partito che ha governato l’Italia per quattro decenni, espressione di un mondo cattolico che è il brodo di coltura originario del premier.
Conte sa che i Cinquestelle non si ricorderanno di lui: Di Maio lo vede come il fumo negli occhi, Di Battista dovrà costruire la sua leadership in piena discontinuità coi governi di questa legislatura.
Conte deve cercare altrove il suo futuro. E per sua fortuna ha molti amici che lavorano per lui, anche eminenti, anche eminenze: sarebbe stato proprio un cardinale eminentissimo a convocare nel suo studio con vista Cupolone un noto anguillone della politica italiana, il demo-berlusconiano Gianfranco Rotondi, titolare dello scudo crociato, erede legittimo del partito dei cattolici. L’eminenza avrebbe rassicurato Rotondi sul suo futuro e sulla benedizione di santa romana Chiesa, e poi avrebbe spiccato un’inappellabile sentenza: la Dc va consegnata a Conte. Rotondi avrebbe fatto un po’ di resistenza, ma i fatti dicono che ha ceduto.
Ora l’ex ministro berlusconiano diffonde smentite a destra e a manca, ma al vecchio Cappa risultano i fatti che non si possono smentire: lo scorso 31 dicembre la moglie dell’on. Rotondi ha acquistato la sede della fondazione Dc per 180mila euro, contraendo un mutuo di ben 140mila euro per la durata di trent’anni. Si dà il caso che l’appartamento in questione vale – nella più generosa delle valutazioni – la metà. Un cattivo affare, si dirà. Niente affatto: la signora ha azzerato d’un colpo i debiti della fondazione Dc, rendendola libera e pulita per una nuova avventurosa stagione.
Ora l’on. Rotondi replicherà smentite e querele, ma le nostre fonti sono documentate e in fondo lui non è colpevole di nessun illecito: ha semplicemente sottoscritto un mutuo per iscriversi alla terza repubblica.