Segui il percorso dei soldi, è la regola degli investigatori. Segui il percorso dei ristoranti, è invece la regola dei cronisti, e il vecchio Cappa vi si attiene senza sosta, a costo di mettere qualche chilo di troppo. Una serata nel circolo più esclusivo di Milano – di cui beninteso il vostro cronista non è socio, ma amico di molti soci – è servita a illuminare la strada che porta alla pratica più difficile con cui si misureranno destra e sinistra nei prossimi mesi: il dopo-Sala, la successione al non indimenticabile sindaco di Milano che sta completando il suo secondo e – alcuni dicono per fortuna – ultimo mandato.



Serata fiacca e con pochi tavoli, circolo a cui bussano invano parvenu e nuovi ricchi, nella speranza, quasi sempre fallita, di vedersi accettare come soci. È una serata fiacca perché di metà settimana, quando i milanesi lavorano e non vanno a cena, men che meno dopo le otto di sera. Eppure un tavolo è completo, e ci sta un po’ di crema della buona borghesia lombarda un tempo democristiana, poi berlusconiana, leghista quando serviva, meloniana se servirà, e incidentalmente anche fan di Beppe Sala, sindaco di sinistra, ambientalista, ma la buona borghesia trova sempre un motivo per farsi piacere il potere: “è in fondo un moderato” è il leitmotiv che si sente sciorinare tra un risotto e un giro di sciatt, piatto fuori menu opzionato dai commensali.



Al centro della tavolata c’è una vecchia conoscenza di quella compagnia di giro: il deputato milanese di origini avellinesi Gianfranco Rotondi, uno dei doni di Silvio Berlusconi a questa incolpevole città (lo impose come consigliere regionale, due volte deputato, una volta senatore, alla fine in Lombardia l’avellinese Rotondi ha contato ed è stato eletto più volte di Bossi, il quale – per dire – non è mai stato consigliere regionale).

La vittoria di Beppe Sala – tra le varie firme – portò pure quella di Rotondi, che chiedeva al centrodestra l’apparentamento di una delle sue tante Dc; di fronte al rifiuto, Rotondi pensò bene di girare la sua lista a Sala, che la prese al volo e con quei voti di destra prevalse di un decimale sul dimenticato rivale del centrodestra, il buon Parisi, delfino di turno di Silvio Berlusconi.



Tanto premettiamo per dire che sbaglia chi ironizza sul fatto che a Milano Rotondi muove mezzo punto o poco più: sarà pure vero, ma l’ha sempre gestito in modo da fare più danni possibile. Qualcuno sperava di essersene liberato: alle ultime elezioni la Meloni lo aveva saggiamente rispedito

ad Avellino, dove pure pare causare più danni del terremoto, sostenendo e facendo eleggere sindaco una donna che era vice di un sindaco agli arresti domiciliari; roba che non si vede più manco a Trapani.

E invece no: di nuovo a Milano, sorridente e gentile, perfino col vecchio cronista che qui gli fa il pelo, Rotondi spiega alla tavolata di milanesoni chi sarà il loro prossimo sindaco: Maurizio Lupi.

Sissignori, avete letto bene: Lupi. Ma non era il bersaglio dei rifondatori democristiani, il ciellino fuori squadra, il ministro di Enrico Letta? Sì, no, chissà, forse ce lo siamo sognato.

A questo giro Rotondi spiegava che Lupi è il quarto leader del centrodestra, piaccia o no è così, e al governo non ce lo hanno messo, qualcosa dovranno dargli, e uno che nel 1993 era già consigliere a Milano si può anche pensare che chiuda la carriera da sindaco.

La tavolata si è sciolta mesta e pensosa, con uno stato d’animo ben riassunto dal commento di un noto banchiere, ben ascoltato dal vecchio cronista: “se lo dice Rotondi che non lo ha mai sostenuto, vuol dire che Lupi veramente ce l’ha fatta”.

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