Nel 2007, durante un discorso tenuto a Monaco, il presidente russo Vladimir Putin espresse serie preoccupazioni riguardo all’espansione della NATO verso Est, preoccupazioni che trovarono eco nel vertice NATO di Bucarest del 2008. In quell’occasione, l’Alleanza Atlantica proseguì nel suo cammino di espansione, nonostante l’opposizione di Stati chiave europei come Germania, Francia e Italia. Questi Stati espressero riserve sull’invito a Ucraina e Georgia di unirsi all’Organizzazione, differenziando la loro posizione rispetto a quella adottata per Albania e Croazia, che furono accettate come membri.
Il dibattito sulle future adesioni fu particolarmente acceso, con un confronto notevole tra Radosław Sikorski, ministro degli Esteri polacco, e Frank-Walter Steinmeier, il suo omologo tedesco. Sikorski criticò l’approccio cautelativo della Germania, sottolineando la necessità di non cedere alle pressioni russe, le quali erano state esplicitamente manifestate durante il Consiglio NATO-Russia a Bucarest. Questa posizione trovò il sostegno di altri paesi dell’Europa orientale e nordica, i quali, insieme alla Polonia, formarono un fronte unito riflettendo gli ideali promossi dagli Stati Uniti.
Questi eventi rivelarono la divisione all’interno dell’Alleanza riguardo la politica di allargamento, mettendo in luce le diverse sensibilità nazionali verso le relazioni con la Russia. La Russia percepiva l’espansione della NATO, soprattutto verso Ucraina e Georgia, come una minaccia diretta alla sua sicurezza e sfera di influenza, vedendo l’adesione di questi Paesi come una linea rossa invalicabile. Tali Paesi, da parte loro, vivevano una situazione interna complessa, con l’Ucraina che affrontava instabilità governativa e la Georgia coinvolta in conflitti etnici.
Il comunicato finale del vertice di Bucarest non fissò una data specifica per l’ingresso di Ucraina e Georgia, ma riconobbe le loro aspirazioni euroatlantiche, lasciando intendere una futura adesione. Questa decisione, assieme alla riaffermazione della “politica della porta aperta”, fu interpretata come un segnale di continuità nella strategia di espansione della NATO, nonostante le tensioni esistenti e le complesse dinamiche geopolitiche dell’area.
Inoltre, la disputa sul nome della Macedonia con la Grecia evidenziò come questioni regionali potessero influenzare le decisioni dell’Alleanza, dimostrando che la politica di allargamento doveva fare i conti con una serie di fattori politici, storici e culturali.
Nel contesto di queste dinamiche, figure come Condoleezza Rice e l’allora ambasciatore USA in Russia, William Burns (attuale direttore della CIA), giocarono ruoli chiave nel sostenere la posizione americana, mirata a consolidare l’unità della NATO e a inviare un messaggio chiaro alla Russia: l’era della Guerra fredda era terminata, e l’Alleanza non avrebbe accettato tentativi di divisione interna. Questa narrativa, rafforzata da documenti rivelati da WikiLeaks, evidenziò la determinazione degli Stati Uniti a mantenere coesione e determinazione all’interno dell’Alleanza Atlantica di fronte alle sfide poste dalla Russia e dalle complessità geopolitiche dell’espansione verso Est.
Dall’inizio degli anni 90, la Germania si è posizionata come una figura centrale nell’Unione Europea, rafforzando la sua economia fino a diventare un principale creditore e accumulatore di surplus, grazie anche agli accordi di Maastricht. Questo sviluppo ha portato a frizioni con gli Stati Uniti, in quanto gli interessi germanici ed europei spesso divergono da quelli americani. La stretta relazione energetica tra la Germania e la Russia è stata un punto di discordia costante con Washington, con le divergenze che hanno raggiunto un apice nel 2003, in seguito alla decisione tedesca di non supportare l’intervento militare in Iraq. Questa scelta ha portato la Germania a distanziarsi dagli Stati Uniti, coinvolgendo anche Francia e Belgio nella sua opposizione, e isolando così la figura di George W. Bush. La definizione di Donald Rumsfeld della Germania come “vecchia Europa” rifletteva l’intenzione di evidenziare l’emergere di nuovi Stati europei più allineati con la politica statunitense.
Il dissenso della Germania si è manifestato in diverse occasioni: dall’opposizione alla guerra in Iraq, al rifiuto di estendere l’adesione alla NATO a Ucraina e Georgia nel 2008, alla sua posizione distaccata riguardo all’intervento militare in Libia nel 2011 guidato da Francia e Regno Unito, fino al contrasto con le sanzioni imposte alla Russia post-2014. In particolare, nel 2011, la coalizione franco-inglese, benché supportata da Washington e da una politica di intervento “da dietro le quinte” sostenuta da Obama, ha beneficiato dell’astensione di Russia e Cina nelle Nazioni Unite, permettendo così un intervento NATO in Libia sotto la giustificazione di proteggere i civili, ma che ha trascinato il Paese in una lunga instabilità.
Nel periodo del “reset” tra Occidente e Russia, con Medvedev (2008-2012) visto come un partner dialogante, l’intervento della NATO in Libia ha superato gli obiettivi originariamente stabiliti, sfociando in un conflitto per il cambio di regime con ripercussioni a lungo termine sulla regione e sull’Europa, in particolare riguardo l’instabilità e i flussi migratori. La Germania ha mantenuto una distanza critica dall’operazione, marcando una discrepanza con gli alleati NATO.
In seguito al Vertice di Bucarest del 2008, la Germania ha cercato di temperare le azioni dell’Occidente percepite come provocazioni verso la Russia. L’iniziativa della Politica di Vicinato dell’Europa, voluta da Polonia e Svezia per rafforzare i legami con i Paesi confinanti con la Russia, ha visto il politico svedese Carl Bildt spingere per un approccio più assertivo che la Germania, insieme a Francia e Italia, ha cercato invano di moderare. Queste tensioni hanno contribuito a creare le condizioni che hanno portato agli eventi di Piazza Maidan in Ucraina.
Negli anni successivi, la diplomazia tedesca ha lavorato per preservare e ampliare i legami energetici con la Russia, culminando nell’inaugurazione del gasdotto Nord Stream 1 nel 2011, nonostante l’opposizione americana. La crisi ucraina e l’annessione della Crimea da parte della Russia hanno intensificato le tensioni, con la Germania che ha cercato di mantenere un equilibrio tra le pressioni alleate e la necessità di garantire l’approvvigionamento energetico attraverso il gasdotto Nord Stream 2.
La strategia tedesca, tuttavia, si è scontrata con gli obiettivi americani di interrompere la relazione speciale russo-tedesca, come dimostrato dalle minacce di sanzioni contro le imprese coinvolte nel Nord Stream, sottolineando la crescente frattura transatlantica. Questi sviluppi hanno rivelato il contrasto tra una Germania che cerca di preservare la propria influenza economica e una politica statunitense determinata a consolidare il suo dominio, influenzando le dinamiche europee in favore di un ordine unipolare guidato da Washington.
La Germania ha realizzato la difficoltà di mitigare l’approccio aggressivo adottato dagli Stati Uniti e si è quindi concentrata sul proteggere gli aspetti più critici della propria politica estera e economica. Dopo il 2008, l’impegno diplomatico e commerciale tedesco con la Russia si è intensificato per consentire l’apertura del gasdotto Nord Stream 1 nel 2011, un progetto che ha permesso il trasporto diretto di gas russo verso l’Europa, eludendo l’Ucraina. Questa mossa di Berlino mirava a preservare un sistema economico che ha beneficiato notevolmente dal gas russo a prezzi vantaggiosi. Tuttavia, questa alleanza ha sollevato preoccupazioni a Washington, che ha visto la cooperazione tra Berlino, Bruxelles e Mosca come una sfida alla propria supremazia, basata sulla subordinazione degli Stati europei.
Dopo i turbolenti eventi in Ucraina e l’annessione della Crimea da parte della Russia, la Germania ha cercato di ottenere dai propri alleati l’accettazione delle importazioni di gas russo, considerate essenziali per la propria sicurezza energetica. Nonostante le pressioni statunitensi, la cancelliera Merkel ha proceduto con la realizzazione del Nord Stream 2, firmando nel giugno 2015 un accordo con Gazprom e altre multinazionali energetiche per espandere la rete di gasdotti esistente, raddoppiando la capacità di trasporto del gas russo verso l’Europa attraverso il Mar Baltico.
In tal modo la Germania ha spostato il fulcro della propria industria manifatturiera verso l’Est europeo, creando un’area economica che supera in termini di scambi quelli mantenuti con tradizionali partner europei come Francia, Italia e Regno Unito. Orientando sempre di più la sua economia verso l’esportazione, la Germania ha trovato nella Cina, un’altra nazione con un elevato surplus commerciale, un partner naturale. In questo contesto, la Russia, ricca di risorse energetiche, assume un ruolo chiave all’interno dell’iniziativa cinese Belt and Road. L’opposizione degli Stati Uniti si è concentrata sul rischio che questo allineamento tra Germania e Cina possa minare la tradizionale dipendenza europea dal blocco occidentale. Pertanto, rompere il legame speciale russo-tedesco diventa essenziale per gli USA, come dimostrato dalle minacce di sanzioni rivolte dall’allora ambasciatore statunitense a Berlino (2018-2020), Richard Grenell, alle aziende coinvolte nel progetto Nord Stream.
Il conflitto in Europa ha segnato la fine degli sforzi della Germania di emanciparsi dalle dinamiche di dipendenza caratteristiche delle relazioni all’interno della NATO. Le vicende legate ai gasdotti Nord Stream hanno rivelato come, inizialmente, alcuni commentatori occidentali abbiano insinuato, senza prove convincenti e con una narrazione mirata non tanto a informare, quanto a manipolare l’opinione pubblica, che la Russia avesse volontariamente sabotato queste infrastrutture vitali per la propria economia e il proprio peso geopolitico. Tuttavia, le indagini del giornalista Seymour Hersh hanno successivamente svelato che la distruzione dei gasdotti fu il risultato di un’operazione segreta orchestrata dalla Casa Bianca e realizzata dalla CIA.
Di fronte a queste manovre, il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è trovato in una posizione difficile, dovendo accettare conseguenze economiche significative per la Germania, una volta motore economico dell’Europa, che ora affronta una fase di recessione manifatturiera. Questo scenario ha favorito l’ascesa di Polonia e Stati dell’Europa centro-orientale, che si sono posizionati come sostenitori di un nuovo ordine unipolare promosso con fervore dai neoconservatori, nonostante le precedenti avversità incontrate dalle politiche di esportazione della democrazia.
Questa “nuova Europa” si profila come un elemento chiave nella strategia degli Stati Uniti, aderendo a un’impronta imperialista rinnovata e servendo da importante collegamento nel tessuto strategico di Washington, ribadendo così il proprio ruolo cruciale all’interno delle dinamiche geopolitiche globali.
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