Anticipiamo un estratto della relazione di Andrej Šiškov al convegno annuale di Russia Cristiana su “Universalità e storie particolari. La vocazione della Chiesa” che si apre oggi a Seriate (Bergamo).
Per l’ortodossia mondiale padre Aleksandr Šmeman è indubbiamente una figura emblematica. E, certamente, il suo contributo alla riflessione sulla vita ecclesiale e i suoi problemi è piuttosto rilevante. Che cosa possiamo imparare da Šmeman? Come la sua teologia ed esperienza possono aiutarci a capire meglio l’universalità della Chiesa?
Il problema dell’universalità della Chiesa e delle prassi ad essa legate nel pensiero di Šmeman si pone a vari livelli. Il primo livello è il rapporto tra universalità e connotazione locale all’interno della Chiesa ortodossa. Tradizionalmente nell’ecclesiologia ortodossa questo problema viene identificato come il rapporto tra Chiesa universale e locale. Un altro livello è l’universalità nella Chiesa, il posto del cristianesimo nella vita del consorzio umano.
Šmeman partiva dall’affermazione che nella diaspora ortodossa si violava il principio dell’”unità locale della Chiesa”, che esigeva un’”autorità unica locale”, cioè la presenza di un’unica giurisdizione in qualsiasi territorio ecclesiastico. Proponeva “che nei luoghi della diaspora ortodossa, dove non esiste una Chiesa ortodossa locale, la necessaria unità locale fosse assicurata dalla giurisdizione del Patriarca Ecumenico, in quanto detentore del primato d’onore nella Chiesa ortodossa”.
Nelle sue proposte Šmeman da un lato riconosceva ai patriarchi di Costantinopoli il diritto di governare la diaspora ortodossa, dall’altro non escludeva il formarsi nella diaspora di nuove chiese autocefale, che avrebbero sottratto questi territori alla giurisdizione della Sede ecumenica. In questo egli vedeva il realizzarsi del principio dell’universalità. Non è importante quali culture nazionali costituiscano la Chiesa locale: in un determinato territorio esse debbono unirsi in un’unica giurisdizione. Tuttavia, Costantinopoli non riconobbe l’autocefalia della Chiesa ortodossa in America, proclamata nel 1970, e Šmeman criticò amaramente i greci di Costantinopoli per aver soppiantato l’universalità con il nazionalismo.
C’è poi il tema di come la Chiesa sia presente nel mondo. Šmeman dice che al centro della missione della Chiesa vi sono l’uomo e il mondo, e “non l’uomo-individuo in un isolamento dal mondo artificiosamente ‘religioso’, e il ‘mondo’ come una realtà unitaria in cui l’uomo non possa essere altro che una sua particella”. Il compito della Chiesa è la trasfigurazione del mondo. Egli ritiene che la testimonianza è alla Chiesa come sacramento del Regno di Dio: “La testimonianza di esso, il richiamo ad esso potrebbero, dovrebbero essere, ne sono convinto, l’essenza della rinascita dell’ortodossia e della sua missione universale, perché qui c’è tutto – il superamento del secolarismo, la sintesi teologica, le risposte alle questioni ‘attuali’ della cultura della ‘storia’, della ‘religione’ ecc.” (Diari, 20 dicembre 1974).
Uno dei temi fondamentali per Šmeman è la contrapposizione tra fede e religione. La fede si collega per lui al cristianesimo autentico, è per principio escatologica. La religione invece è naturale, non escatologica, e rappresenta un residuo del paganesimo. La religione penetra gradualmente nella vita ecclesiale e, mischiandosi alla fede, gradualmente la confina in secondo piano. Essa riduce la vita ecclesiale a forme non escatologiche di religiosità. Il compito del cristianesimo è di dare un giudizio sulla religione. Šmeman scrive nei diari: “Nel nostro mondo qualunque religione senza Cristo (perfino il cristianesimo, perfino l’ortodossia) è un fenomeno negativo e addirittura pauroso, con cui è pericoloso perfino entrare in contatto” (Diari, 24 gennaio 1974).
Secolarizzazione e secolarismo rappresentano per Šmeman un processo di scristianizzazione e contemporaneamente di “disincantamento del mondo”. Il secolarismo spoglia il mondo del mistero, nega il mondo come sacramento: il mondo secolarizzato fino in fondo, per Šmeman, è un mondo privato di prospettiva sacramentale ed escatologica. È un mondo senza fede, ma con la religione: infatti, per Šmeman, la secolarizzazione non significa necessariamente ateismo. Per Šmeman la secolarizzazione, da un lato, è un processo profondamente negativo, indice di un degrado della vita ecclesiale, di una decadenza della fede e di una sua totale sostituzione con la religione. D’altro lato, egli trova anche degli aspetti positivi nel processo di secolarizzazione per la vita della Chiesa. Il confinamento della religione in un ambito autonomo dalla società apre la possibilità di una sua identica separazione dalla fede.