La profonda militarizzazione della società russa, radicata nella storia sovietica e perpetuata nella Federazione Russa, ha plasmato non solo la struttura interna del Paese ma anche il suo approccio verso le politiche estere e i conflitti internazionali. L’evoluzione del ruolo dei militari e dei siloviki, da attori chiave nella governance interna a protagonisti sullo scenario politico, ha influenzato direttamente la postura della Russia nei confronti dell’Ucraina. La crisi attuale tra Russia e Ucraina può essere vista come una manifestazione esterna di questa lunga tradizione di militarizzazione e di attivismo politico delle forze armate. La decisione di intraprendere azioni militari contro l’Ucraina riflette non solo considerazioni geopolitiche, ma anche l’influenza duratura delle strutture militari e di sicurezza nella definizione delle priorità nazionali della Russia, evidenziando come le dinamiche interne possano avere ripercussioni significative sulla stabilità regionale e globale.
La struttura della società sovietica era intrinsecamente modellata su principi militari, mirando al controllo della popolazione e all’efficienza produttiva, riflettendo un approccio tipico delle organizzazioni armate. Le radici di questa strutturazione risalgono alla storia dell’URSS, con il Partito Bolscevico di Lenin che incarnava l’ideale di un gruppo di rivoluzionari dediti completamente alla conquista del potere, governati da una ferrea disciplina militare. Successivamente alla rivoluzione del 1917, l’etica partitica promuoveva un sacrificio personale totale per gli obiettivi collettivi, paragonabile all’obbedienza incondizionata di un militare verso i comandi superiori. Le cellule del Partito, diffuse in ogni aspetto della vita sociale – dalle fabbriche alle scuole, passando per l’esercito – enfatizzavano il lavoro collettivo organizzato in “brigate” o “squadre d’assalto”. Anche il lessico politico si ispirava alla terminologia militare, con espressioni quali “fronte pioniere” e “mobilizzazione delle riserve”, e il mondo del lavoro adottava simbologie e decorazioni simili a quelle dell’ambiente militare. L’esercito sovietico fungeva da principale agente di socializzazione e “sovietizzazione” per l’ampio mosaico etnico dell’Unione, essendo quasi il 70% dei giovani coinvolti nel servizio militare negli anni 80. Prima di arruolarsi o di entrare nelle accademie militari, i giovani venivano preparati da organizzazioni come la DOSAAF e il Komsomol, che replicavano la struttura e la disciplina dell’esercito, svolgendo un ruolo cruciale nella formazione militare e nella difesa nazionale.
L’impatto dell’esercito e delle forze di sicurezza, collettivamente note come siloviki, si estende ben oltre la loro presenza visibile nel tessuto sociale e politico della Federazione Russa, perpetuando una tradizione dell’era sovietica. Questi individui mantengono il diritto, condiviso con tutti i cittadini russi, di impegnarsi attivamente nella vita politica, partecipando ai partiti e candidandosi a cariche elettive. Questa inclusione risale al periodo sovietico, quando il loro status non precludeva la partecipazione ai massimi livelli decisionali, come il Congresso dei deputati del popolo e il Politburo,di cui il ministro della Difesa era membro a pieno titolo fino all’era Gorbaciov. Durante gli anni 80, le forze armate erano ben rappresentate all’interno dei principali organi di governo e del Partito Comunista, con una significativa percentuale di ufficiali e sottufficiali che erano anche membri del partito, segnalando una profonda politicizzazione dell’istituzione militare.
All’inizio degli anni 90, l’arena politica russa vide l’ingresso significativo di figure militari, sollecitate dai principali attori politici dell’epoca, Gorbaciov ed Eltsin, per fungere da mediatori nelle loro dispute. Questa fase segnò l’inizio di una nuova dinamica di potere, con Eltsin che ricompensava i siloviki per il loro supporto nei tumultuosi eventi del 1993, inserendo figure militari in posizioni chiave dello Stato. A differenza dell’URSS, dove l’influenza dei militari era controbilanciata da quella del KGB e del Partito, nella Russia post-sovietica essa si concentrò attorno alla figura del presidente. Eltsin cercò di mitigare questa influenza rafforzando le “strutture di forza” alternative e mantenendo un equilibrio tra l’esercito e le altre forze di sicurezza, sotto la vigilanza dei servizi successori del KGB. Contemporaneamente, con la dissoluzione dell’URSS, alcuni militari assunsero ruoli di spicco nella formazione dei nuovi partiti politici e nell’economia, capitalizzando le loro competenze e conoscenze acquisite durante il periodo sovietico.
Con l’ascesa al potere di Vladimir Putin, ex agente del KGB, alla fine del 1999, il panorama politico russo aveva già visto una significativa presenza dei militari e dei siloviki nei suoi ranghi decisionali. Questa transizione dall’era sovietica si distingue per il passaggio dei militari da semplici rappresentanti della loro istituzione a protagonisti attivi della vita politica russa. Tuttavia, l’idea che la Russia sia stata soggetta a una completa “militarizzazione” sotto Putin è un’interpretazione riduttiva. Sebbene alcuni movimenti ultranazionalisti e le elezioni abbiano proiettato un’immagine di forte sostegno militare a ideologie estremiste, è importante riconoscere che i militari, come il resto della popolazione russa, non formano un blocco omogeneo e le loro affiliazioni politiche spaziano su un ampio spettro.
La profonda crisi istituzionale che ha scosso Mosca tra il 21 settembre e il 4 ottobre 1993 ebbe origine dallo scontro tra il presidente Boris Eltsin e il Parlamento, ancora radicato nella vecchia struttura sovietica e guidato da Ruslan Khasbulatov, con il supporto del vicepresidente Aleksandr Rutskoi. Questa tensione culminò quando Eltsin, rispondendo all’opposizione sistematica del Parlamento, decise di scioglierlo, provocando una reazione immediata che portò a un conflitto armato. La situazione degenerò in violenza quando i sostenitori del Parlamento, guidati da Rutskoi, superarono le forze di sicurezza. Il 4 ottobre, dopo indecisioni, l’esercito fu autorizzato ad agire contro il Parlamento, portando a un bilancio tragico di vittime. Questo episodio rischiò di dividere profondamente le forze armate, evidenziando la complessità dei rapporti tra potere politico e militare in un periodo di transizione critico.
Durante le elezioni legislative del 1995, l’attivismo politico dei siloviki divenne particolarmente evidente. Questo periodo vide il ministro della Difesa, Pavel Grachev, avviare una campagna nelle caserme, puntando a consolidare un blocco militare influente. Allo stesso tempo, figure chiave delle forze armate si lanciarono nella competizione elettorale sostenendo vari partiti, dalla destra nazionalista al comunismo, riflettendo l’ampia gamma di orientamenti politici all’interno dell’establishment militare. La reazione di Eltsin a questa presenza massiccia di militari in politica fu l’introduzione di leggi che regolamentavano la loro partecipazione elettorale, sebbene queste normative sembrassero essere ampiamente ignorate nelle elezioni del 1999. Quest’ultime furono segnate da una rinnovata e ampia candidatura di siloviki e da violazioni delle restrizioni sulla campagna elettorale nelle strutture militari, sottolineando le sfide nel mantenere una chiara separazione tra le sfere militare e politica.
Nonostante la presenza ridotta dei siloviki nei corpi legislativi russi rispetto al periodo sovietico, la loro influenza rimane significativa. Nel 1991, quasi un quinto dei deputati proveniva da questo gruppo, ma tale proporzione si è ridotta dopo il collasso dell’URSS. Tuttavia, le elezioni legislative del 1999 hanno visto un aumento dei candidati militari e di ex militari, con una ventina di loro eletti. Analisi recenti indicano che i siloviki costituiscono circa il 9% dei deputati nella Duma attuale, sebbene il loro numero reale possa essere superiore. Questo scenario evidenzia come, nonostante una presenza numerica ridotta, l’impatto delle forze di sicurezza sulla politica russa rimanga rilevante, riflettendo una continuità con la tradizione sovietica di interazione tra militari e politica.
Nell’ambito della transizione politica e sociale dalla fine dell’URSS all’attuale Federazione Russa, la figura del militare e del silovik ha attraversato una notevole evoluzione. Se durante l’epoca sovietica la presenza dei militari nelle istituzioni statali era vista come una componente stabile della governance, la fase post-sovietica ha visto questi attori diventare partecipanti attivi nel dibattito politico e nella formazione di nuove strutture di potere. La crisi del 1993 ha rappresentato un punto di svolta, segnando il passaggio da una partecipazione politica indiretta a un ruolo più diretto e visibile. La successiva proliferazione di candidature militari nelle elezioni ha evidenziato la sfida di bilanciare le esigenze di una società civile in evoluzione con il peso storico delle forze armate.
Le elezioni legislative del 1995 e del 1999 hanno sottolineato questa tendenza, con una presenza significativa di siloviki tra i candidati e una loro attiva partecipazione alla vita politica, nonostante le restrizioni legali introdotte. Questo fenomeno non solo riflette la continuità dell’influenza militare nella politica russa, ma anche la capacità di questi gruppi di adattarsi e rimanere rilevanti in un contesto politico in rapido cambiamento. La presenza dei siloviki nella Duma e nel Consiglio della Federazione, sebbene ridotta rispetto all’era sovietica, dimostra una persistente intersezione tra le sfere militare e politica, evidenziando la complessità della transizione della Russia verso strutture di governance post-sovietiche.
Attraverso questi cambiamenti, la Russia contemporanea riflette la sfida di integrare le tradizioni delle forze di sicurezza nella costruzione di una società civile e di un sistema politico che cerca di bilanciare eredità sovietiche e aspirazioni moderne, mantenendo al contempo un dialogo tra le diverse componenti del suo tessuto sociale e politico.
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